È un terreno tabù, dal quale spesso le cifre trapelano in maniera frammentaria. Di certo si sa che la salute mentale, la cui giornata internazionale ricorre il 10 ottobre, genera ogni anno costi sanitari per milioni di franchi. Stando all’ultima indagine sulla salute nella Confederazione (ISS, 2012), una persona su due è toccata da un problema psicologico almeno una volta nella vita. Un quarto dei ticinesi, invece, soffre di disagio mentale. «Anche se poi molte persone depresse, lo nascondono – dice Saul Branca, psicologo, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto Ricerche di grup- po di Lugano –. I numeri legati al disagio della psiche sono in realtà decisamente più grandi».

L’impressione è che, ancora oggi, la sofferenza psichica sia molto meno considerata di quella fisica. Perché?
Soprattutto perché la mente umana non è predisposta a cogliere la sofferenza psichica allo stesso modo in cui coglie la sofferenza somatica. Lo dice anche Freud: la mente persegue, in parte, l’autoinganno. Il dolore psichico può facilmente essere equivocato.

Di fronte alla parola “psicologo”, tanta gente è dubbiosa per inerzia. Come lo spiega?
Andare dallo psicologo-psicoterapeuta significa spesso fare i conti con qualcosa che noi stessi non vogliamo vedere. L’individuo è sempre combattuto fra una parte che vuole cambiare e un’altra che si ostina a restare immutata. E questo anche se vi è sofferenza.

Un tempo i depressi e gli ansiosi erano considerati matti…
Ancora oggi, seppure in misura minore, chi soffre di disagio psichico è confrontato col pregiudizio. La sofferenza psichica non si palpa, non si pesa, non si misura. E per questo può apparire illusoria. Chi ne soffre, tuttavia, sa benissimo quanto sia reale. I malintesi che spesso caratterizzano le condizioni di inabili- tà professionale per motivi psichici sono legati a questi aspetti.

Quali sono oggi i disturbi psichici più diffusi in Svizzera?
Nell’adulto sicuramente gli stati di ansia e gli attacchi di panico. Seguiti da disturbi affettivi e depressioni. Sono in sensibile aumento anche i disturbi somatoformi, quelli per cui la sofferenza psichica si manifesta sul piano somatico. Spesso si fanno mille esami medici, per poi scoprire di avere un disturbo d’ansia.

Una recente indagine dell’Ente ospedaliero cantonale evidenzia come il 25% dei pazienti ha l’abitudine di prendere una pillola per l’ansia quotidiana, o per dormire. Perché siamo a questi punti?
Se, come sostengono i filosofi Emanuele Severino e Umberto Galimberti, noi viviamo nella cosiddetta “età della tecnica”, è inevitabile che l’individuo sia indotto a cercare risposte rapide e incisive al suo malessere. La pillola rappresenta apparentemente una soluzione veloce, attraverso la quale aggirare determinati ostacoli. Soluzione rapida, ma sovente semplicistica e fuorviante.

Il posto di lavoro figura tra i luoghi in cui più spesso possono insorgere problemi di natura mentale. Cosa stiamo sbagliando?
Il mondo del lavoro genera disagio psicologico da sempre. In 25 anni di attività ho constatato, però, un deterioramen- to. La pressione verso una sempre crescente efficienza sembra andare in senso opposto rispetto al benessere soggettivo. Sempre di più il lavoro si trasforma in uno spazio di produzione e sempre meno di autorealizzazione.

Lei dirige l’Istituto ricerche di gruppo di Lugano. Di cosa vi occupate esattamente?
Soprattutto di formazione. Abbiamo una scuola di psicoterapia, counseling, coaching sportivo, arte terapia. Elaboriamo nuovi modelli teorici e clinici adatti alla comprensione e alla cura dell’uomo contemporaneo.

A proposito. La terapia dello psicologo-psicoterapeuta spesso non è coperta dalle casse malati. Questo per molti è un limite.
È vero. Tanta gente non va dallo psicologo-psicoterapeuta perché non ha la complementare e non può permettersi di pagare le sedute. Al momento non siamo riconosciuti dall’assicurazione di base, salvo nei casi in cui si lavora alle dipendenze di uno psichiatra o di un medico autorizzato.

Non è un po’ umiliante per voi?
È una situazione inaccettabile, che implica una squalifica della nostra figura. La psicoterapia costa tanto, è vero. Però sul lungo termine è pagante per la società, produce cambiamenti stabili e talvolta definitivi. Forse è questo che la politica non riesce ancora a capire.

Non è un mistero che le case farmaceutiche facciano affari d’oro con gli psicofarmaci. Anche per questo non si vogliono cambiare le cose?
La società non è una mamma che vuole il bene dei figli. Non dobbiamo stupirci. Ci sono gruppi di potere non interessati a risolvere i problemi sociali. È innegabile. Ma limitarsi ad accusare il sistema non avrebbe senso.

Viviamo a mille all’ora. Che influenza hanno le nuove tecnologie?
Lavoro molto con gli adolescenti. Oggi tutto viene scaraventato sui social. È un processo che crea un’intensa ansia persecutoria. La sfera privata sempre più invasa dal giudizio pubblico, mentre la capacità di mantenersi al passo con l’iperbolico incremento tecnico si riduce sempre di più. Questo genera quel senso di incapacità che il filosofo Günther Anders ha definito “vergogna prometeica”.

I ragazzi già a scuola sono sempre più martellati. Obiettivi su obiettivi. E chi non li raggiunge, è tagliato fuori. Un modello discutibile?
Certo e non sono molto ottimista su una possibile inversione di tendenza. Siamo di fronte a mutamenti epocali, che difficilmente potranno essere contrastati da correttivi educativi o pedagogici.

Dalle sue parole emerge come la mente umana sia fragile e problematica per natura.
E questo anche perché l’uomo è un essere parzialmente senza istinto. Non siamo come gli insetti. Un insetto agisce per istinto. Funziona e non ha difficoltà. Se potessimo intervistare un insetto, ci direbbe che non ha problemi di ansia o depressione. Non deve scegliere, è programmato per fare quello che fa, e per questo non ha ansie da prestazione.

La prestazione. Un concetto che ritorna…
È un dato di fatto. Sono mutate le condizioni che stanno alla base della sofferenza psichica. Se fino ad alcuni decenni fa, il mito di riferimento era quello di Edipo, in cui il soggetto sta male perché si sente colpevole, ora trionfa il mito di Narciso. Adesso si sta spesso male perché non ci si sente all’altezza, perché non ci si sente adeguati. L’essere umano, in un modo o nell’altro, è probabilmente sempre destinato a soffrire dal punto di vista psichico.

Fonte: cooperazione.ch

https://www.cooperazione.ch/temi/incontri/intervista/2018/sulla-sofferenza-psichica-151482/