A quarant’anni dalla cosiddetta “legge Basaglia”, che ha visto il nostro Paese all’avanguardia nel campo della psichiatria clinica, molti e duraturi sono i segni che fanno pensare alla psichiatria come ad una disciplina in crisi. Quali risvolti questa ‘crisi’ avrà per la psichiatria italiana e per il suo operare non è facile prevedere. In psichiatria sappiamo che le crisi, pur se dolorose, non sono necessariamente negative nella storia degli individui, delle istituzioni e delle discipline. Questo perché una crisi può rappresentare in molti casi il giro di volta verso i cambiamenti e la maturazione; tanto più quando si è in grado (e in questo la psichiatria dovrebbe essere esperta) di riflettere su se stessi e sulla propria storia.

Le ‘crisi’ della psichiatria a mio avviso sono più di una e tutte riflettono, in modi e tempi diversi, la necessità e, allo stesso tempo, l’intrinseca difficoltà di questa disciplina ad essere assimilata alle altre scienze mediche senza subire una qualche forma di distorsione o riduzionismo. La “legge Basaglia” ha riportato in Italia i malati psichiatrici che hanno bisogno di un ricovero all’interno degli ospedali generali, restituendo alle malattie psichiche pari dignità rispetto alle altre malattie somatiche, ma soprattutto spostando il baricentro dell’operare psichiatrico a livello territoriale. Questi importanti cambiamenti, su cui si basa oggi l’organizzazione dei servizi psichiatrici nel nostro Paese, hanno reso necessario il confronto con le altre discipline mediche e la presa di coscienza delle peculiarità e delle tante differenze che riguardano soprattutto, ma non solo, il concetto di disturbo psichiatrico come malattia. Le difficoltà della psichiatria a trovare un proprio spazio riguardano, in modi e tempi diversi, non solo le conoscenze scientifiche e la pratica clinica, ma anche gli assetti organizzativi istituzionali e le politiche sanitarie.

Da un punto di vista scientifico, la “crisi” attuale della psichiatria sta mostrando risvolti positivi, da un lato aprendo la strada all’uso di trattamenti innovativi e ai progressi delle neuroscienze, dall’altro promuovendo nuovi paradigmi entro cui muoversi per migliorare le conoscenze. Uno degli aspetti più importanti della crisi della psichiatria riguarda proprio i paradigmi diagnostici finora utilizzati (definiti neo-Kraepeliniani). I confini tra le diagnosi in psichiatria sono spesso labili e la sovrapposizione (comorbilità) tra disturbi è quasi la regola, così come è difficile stabilire un netto confine tra salute e malattia. La risposta ai trattamenti non è sempre facile da prevedere, poiché i processi di miglioramento e guarigione durante il trattamento delle malattie psichiatriche risentono più che per altre discipline mediche di fattori ambientali e sociali. Non ci sono ad oggi dimostrazioni che quelle che vengono definite malattie psichiatriche sulla base di raggruppamenti di sintomi e comportamenti, anche se ci permettono di ottimizzare le terapie, siano delle vere e proprie entità nosologiche, ossia corrispondano a vere e proprie malattie ben distinte le une dalle altre (Maj, 2018). D’altro canto sempre maggiori evidenze convergono nel concettualizzare alcuni disturbi psichiatrici come delle ‘malattie sistemiche’, ossia fenomeni patologici che non riguardano solo la mente dell’individuo, ma che coinvolgono tutto il corpo (si pensi, per esempio, alle alterazioni delle difese immunitarie nella depressione).

I progressi della ricerca scientifica aprono nuove prospettive in ambito preventivo, diagnostico e terapeutico-riabilitativo che consentono una maggiore personalizzazione ed efficacia delle cure, non più basata solo sul controllo dei sintomi una volta che questi si sono sviluppati, ma sulla identificazione precoce delle persone ad alto rischio per interventi mirati di prevenzione, sulla ottimizzazione individualizzata della terapia farmacologica e sul recupero della funzionalità sociale. Gli approcci basati sulle nuove scoperte della ricerca scientifica permettono di utilizzare farmaci più mirati e di fornire interventi psichiatrici più appropriati (psichiatria di precisione), che si traduce nel lungo periodo in un uso più razionale delle risorse e in una riduzione dello stigma. La crescente consapevolezza della presenza di aspetti biologici nella fisiopatologia dei disturbi psichiatrici gravi non ha portato affatto, come si temeva, alla diminuzione dell’importanza delle terapie psicologiche, ma al contrario ha permesso lo sviluppo di approcci psico-sociali più specifici ed efficaci che possono essere utilizzati in associazione non solo alla terapia farmacologica, ma anche a terapie innovative, come la terapia di rimedio cognitivo e la stimolazione cerebrale non invasiva. Infine, l’approccio della ‘stadiazione‘ (già utilizzata in altri campi della medicina, come l’oncologia) nella valutazione diagnostica dei pazienti, ha permesso di valutare trattamenti che hanno indicazioni specifiche ed efficacia clinica in particolari fasi della malattia, permettendo di ottimizzare gli interventi terapeutici al di là dei classici confini diagnostici.

Ma la crisi della psichiatria sta anche nel non riuscire a sufficienza ad incidere, anche attraverso le nuove conoscenze acquisite, sull’evoluzione delle politiche sanitarie che, da sempre, non sembrano cogliere l’enorme impatto delle malattie psichiatriche in termini di sofferenza e disabilità.

La psichiatria come disciplina si appresta quindi oggi a guardare a questa crisi per cogliere, in una visione globale, quali sono le nuove conoscenze scientifiche e quale è la nuova realtà sociale entro cui deve operare. Uscire dalla crisi vuol dire mostrare la propria capacità di rinnovamento senza rinunciare, a causa di complessi di inferiorità rispetto alle altre discipline mediche, a quelle che sono le caratteristiche e prerogative di base della psichiatria: cioè il fatto di occuparsi della sofferenza psichica delle persone non solo attraverso trattamenti basati sulle evidenze, ma anche attraverso la comprensione empatica e l’umanità. L’approccio psichiatrico può al contrario rappresentare, in una visione ideale, un modello per le altre discipline mediche, proprio perché valorizza il rapporto umano e si interfaccia con le altre discipline, mantenendo quella che è una visione unitaria della persona sofferente. E’ auspicabile che in Italia anche la pratica clinica e, ovviamente, gli assetti organizzativi istituzionali della psichiatria, sappiano evolvere cogliendo le necessità di innovazione senza ideologie preconcette, ma senza per questo rinunciare alla propria storia ed identità.

Fonte: ilbolive.unipd.it

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