Abbiamo intervistato il dott. Gianfranco Aluffi, Referente Servizio IESA e UMPC ASL TO3 che ci ha raccontato l’intensa attività del progetto.

Cos’è lo IESA e quali obiettivi si pone?

IESA è un acronimo e significa “Inserimento Eterofamiliare Supportato di Adulti”, si tratta di uno strumento di riabilitazione e cura che consiste nell’offrire a una persona in difficoltà la possibilità di vivere in un contesto familiare, non istituzionalizzato, grazie alla disponibilità di ospitanti volontari e all’intervento professionale di supporto alla convivenza offerto dagli operatori di un’équipe preposta e specializzata, reperibili telefonicamente tutti i giorni dell’anno, 24 ore su 24.

Questo progetto mira all’inclusione sociale di soggetti fragili, inducendo il contesto sociale stesso a reintegrarli e valorizzando le risorse presenti nel territorio. Offre un contesto di vita “normale”, non alienato dalla quotidianità di cui ciascuno di noi fa esperienza e in cui ciascun individuo ha diritto di vivere. Lo IESA segue un principio equo, ecologico e solidale, sostenendo il territorio e i cittadini. La presenza di un cospicuo rimborso spese per l’accoglienza riconosciuto alle famiglie che generosamente aprono le porte delle loro case e mettono a disposizione il loro tempo per sostenere un ospite, può essere visto come una virtuosa ridistribuzione di risorse, che ha come ricaduta positiva anche il fatto di evitare ricoveri in strutture chiuse e spesso inefficaci sul piano della terapia e della riabilitazione. E il basso impatto economico che tale progetto ha per le amministrazioni, in confronto ad altre risorse residenziali, può consentire a un più ampio numero di cittadini di usufruire di un aiuto, ampliando così le possibilità di cura e di reinserimento nel tessuto sociale per persone che soffrono di disagio psichico, disabili, anziani, soggetti con problemi di dipendenza ecc. Lo IESA è uno strumento flessibile, economico ed efficace, ha perciò tutte le carte in regola per una maggiore diffusione, in diversi ambiti, per diverse categorie di utenza.

Come è nata questa idea di progetto che alcuni potrebbero definire come futuristico?

Sorrido per la scelta della parola “futuristico”, poiché lo IESA ha radici in realtà millenarie, se vogliamo è nato ancor prima della psichiatria, dei manicomi, delle comunità terapeutiche. Quasi sempre quando si parla di IESA, a dispetto dei suoi secoli di storia, viene fatto riferimento al concetto di novità, di innovazione, di cambiamento. È un tipo di intervento molto diffuso in Europa, soprattutto in Francia, Germania e nel Regno Unito, dove negli ultimi anni ha visto una massiccia e progressiva diffusione. Ciononostante non fa ancora parte del nostro background culturale, tanto che spesso l’attività dello IESA viene ancora definita addirittura “sperimentale”, sebbene anche in Italia e nello specifico a Collegno, presso il Servizio IESA ASL TO 3 di cui sono referente aziendale e fondatore, abbia ormai una consolidata e ventennale esperienza. Eppure l’idea che la società possa farsi carico di accogliere le proprie parti fragili è ancora considerata futuristica… Mi auguro che ci sia un cambio di paradigma, per questo io e i miei collaboratori ci impegniamo quotidianamente per far conoscere questo tipo di attività e diffondere la cultura dello IESA, e che parlare di accoglienza eterofamiliare, di mutualità, di reciprocità sociale, possa diventare qualcosa di sempre più normale e attuale, radicato nel presente del nostro orizzonte esperienziale più che collocato nell’ambito delle imprese d’avanguardia. Accogliere è sì qualcosa di “straordinario”, ma non nel senso di “eccezionale” o “di nicchia”, quanto nel senso di qualcosa di non banale, complesso ed estremamente ricco di signficato, sia per chi ne fruisce, sia per chi si mette a disposizione come ospitante.

Quali sono i risultati da voi registrati?

I risultati dimostrati dalle ricerche internazionali evidenziano un abbattimento del numero di giorni di ricovero per cause psichiatriche e una diminuzione dei dosaggi di benzodiazepine, che sottolineano l’efficacia terapeutica del fattore ambientale. Ma i risultati maggiori sono in termini di miglioramento della qualità della vita: molti ospiti hanno la possibilità all’interno delle famiglie ospitanti di fare esperienze nuove, gratificanti e risocializzanti. Penso ad esempio ad un utente anziano, proveniente dalla realtà manicomiale, che con la sua famiglia IESA ha fatto la sua prima vacanza, per la prima volta è andato all’estero… in Perù, dove ha conosciuto la famiglia allargata degli ospitanti e le loro radici culturali. Ecco, questo tipo di possibilità offerte a persone che rischierebbero di non poterne fruire se rinchiuse in un contesto istituzionale, credo sia un grande risultato in un’ottica di vera cura e vera riabilitazione. Se vogliamo invece osservare gli esiti in termini di autonomizzazione degli ospiti cito i numerosi percorsi a lieto fine che hanno visto utenti più giovani raggiungere l’indipendenza abitativa e quelli nei quali sono state revocate delle misure di tutela per restituire al soggetto la dimensione di libero cittadino. Laddove viene restituito potere contrattuale, libertà, autonomia, speranza e affetti, ritengo vi sia riabilitazione, e dunque i nostri risultati risiedono in questo, anche se sono sfaccettature a volte difficili da “misurare”.

Fonte: assocarenews.it

https://www.assocarenews.it/index.php/primo-piano/le-interviste-di-assocarenews-it/1859-psichiatria-progetto-iesa-inserisce-malati-in-nuclei-familiari