COS’È LA PET THERAPY
La pet therapy e la pet visiting sono pratiche che mirano a supportare dal punto di vista psicologico la persona malata all’interno della struttura ospedaliera o la persona che risiede all’interno di strutture sanitarie.
La pet therapy fu definita per la prima volta dallo psicoterapeuta Boris Levinson intorno agli anni Sessanta; egli si rese conto in maniera casuale come la presenza del proprio cane portasse benefici, sia a livello psicologico che comportamentale, ad un suo piccolo paziente autistico. Da questa esperienza Levinson decise di effettuare ricerche e sperimentazioni approfondendo l’argomento.
In Italia si iniziò a parlarne negli anni Ottanta in varie conferenze mediche, ma fino al 2000 non si arrivò ad avere dei documenti ufficiali che ne illustrassero i principi.
Nel nostro Paese, a differenza di altri, è una pratica ancora oggi non del tutto sviluppata. Inizialmente ha preso molto campo soprattutto nel Nord Italia, ma adesso possiamo notare che si è sviluppata anche in altre regioni. Nella realtà toscana la pet therapy ha visto la sua nascita in particolare all’interno dell’ospedale pediatrico Meyer, dove viene già attuata da molti anni portando ottimi risultati. Nella fase iniziale agli animali era riservato uno spazio preciso all’interno dell’ospedale dove potevano entrare in contatto con i bambini, oggi invece ha subito alcuni sviluppi ed ora gli animali sono accompagnati direttamente al letto del bambino malato. Inoltre, da poco tempo, è entrata a far parte anche nell’ospedale Careggi di Firenze e negli ospedali di Pisa e Lucca.
La pet visiting mira invece a favorire la continuità relazionale fra il paziente ricoverato ed il proprio animale d’affezione. Dopo la delibera della Regione Toscana (2014) questa pratica è stata messa in atto all’interno dell’ospedale fiorentino Santa Maria Nuova ed in alcuni Hospice della zona. Questo progetto verrà poi esteso agli ospedali di Pistoia e Prato.

PET THERAPY NEL CORSO DELLA STORIA
Le proprietà terapeutiche attribuite agli animali hanno origini molto antiche. Già nell’era preclassica era presente il culto animista, cioè pratiche religiose in cui venivano attribuite caratteristiche divine o sovrannaturali ad esseri materiali fra cui gli animali. Questa pratica è riscontrabile attraverso le raffigurazioni dell’epoca dove le divinità erano rappresentate con parti del corpo di animali oppure affiancati ad essi. Il dio babilonese Marduk era raffigurato con metà corpo di drago e metà di serpente e veniva celebrato come dio della saggezza, del consiglio e della guarigione.
Per gli egizi, invece, il dio Anubi, raffigurato con la testa del cane era il dio dei defunti ed aveva il compito di accompagnare le anime dei morti nell’oltretomba dove avveniva la pesatura del cuore per decidere se l’anima poteva entrare nel mondo dei morti.
Nell’Antica Grecia il dio della medicina e delle guarigioni Esculapio aveva il potere di trasformarsi in serpente o in cane. Le persone ammalate si recavano al tempio a lui dedicato e in uno stato di trance potevano incontrare la divinità che leccava le ferite o le parti sofferenti, guarendole. Inoltre, all’interno del tempio erano presenti numerosi cani che avvicinandosi alla persona malata portavano sollievo.
All’inizio del Cristianesimo permasero rappresentazioni animali affiancate ai santi. Possiamo avere numerosi esempi; per San Francesco tutti gli animali meritavano il rispetto dell’uomo, egli era definito come colui che riusciva comunicare con gli esseri animali; famoso è l’episodio del lupo che terrorizzava la città di Gubbio, Francesco riuscì a comunicare con lui tenendo a freno la propria ira e facendo tornare la pace in paese.
Altro esempio può essere San’Antonio da Padova, ritenuto oggi il protettore degli animali domestici, egli interagiva con i pesci quando gli eretici si rifiutavano di ascoltarlo.
Il fattore benefico apportato all’uomo dall’animale perde poi significato durante il Medioevo, periodo in cui gli animali vennero associati a figure demoniache. Questo pensiero rimase presente fino alla fine del Cinquecento, quando ritorna alla luce il potere di guarigione degli animali. Tale evento può essere riscontrato nell’opera di William Harrison dove l’autore racconta come i cani Spaniel fossero indicati come terapie contro i mali allo stomaco.
La percezione dell’animale cambiò radicalmente durante l’Illuminismo, quando l’animale veniva considerato oggetto affettivo. Infatti, possiamo notare tutto ciò facendo riferimento al filosofo inglese John Locke, il quale suggeriva di affidare cani, scoiattoli ed uccelli ai bambini, di rimproverarli nel caso in cui non ne avessero cura e facessero atti crudeli verso di loro; inoltre consigliava ai bambini la lettura delle favole di Fedro. Quindi da qui si evince che per Locke la cura degli animali era parte integrante dell’educazione dei bambini con lo scopo di sviluppare sentimenti positivi ed empatia.

ANIMALI DA COMPAGNIA NELLA CURA DEL DISAGIO MENTALE
Nello stesso periodo in diverse parti d’Europa iniziò a diffondersi la pratica di introdurre gli animali da compagnia e da cortile nelle case di cura per disagio mentale. La prima testimonianza ha sede presso lo York Retreat Hospital in Inghilterra, dove fu attuato un progetto che prevedeva l’utilizzo di metodi più umani per il trattamento dei pazienti; era prevista l’eliminazione della contenzione, l’utilizzo dei propri abiti e l’introduzione di una terapia occupazionale che prevedeva la cura delle piante e degli animali da cortile presenti nella struttura.
Era ritenuto che il prendersi cura di creature totalmente dipendenti dall’essere umano potesse aiutare i malati a raggiungere forme di autocontrollo. Queste pratiche, attuate poi in tutti i manicomi inglesi, furono prese in considerazione dall’ospedale di Betlemme dove furono introdotti animali domestici ed uccelli al suo interno così che i pazienti potessero interagire con loro.
I benefici apportati dagli animali ai malati furono riconosciuti anche da Florence Nightingale, madre dell’infermieristica, che in un suo scritto afferma che un piccolo animale fornisce compagnia eccellente per i malati, specialmente con patologie croniche.
Tutto ciò però decadde tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, periodo in cui l’avvento della medicina portò alla formazione di ambienti sterili dedicati alle cure dei malati e quindi gli animali vennero banditi, perché ritenuti un pericolo per la salute pubblica. In questo periodo gli animali furono solo oggetto di teorie psicoanalitiche sull’origine delle malattie mentali.
Sigmund Freud identificò i bambini simili agli animali, governati cioè da istinti interni sulla base di funzioni biologiche di base. Quando il bambino matura il genitore lo doma instillandogli anche paure o colpe. Secondo Freud la malattia mentale si instaurava nel momento in cui gli impulsi animali repressi non trovavano nessuna via d’uscita sana.
Inoltre, interpretava la presenza degli animali nei sogni dei suoi pazienti come sentimenti inaccettabili; le bestie selvatiche rappresentavano gli impulsi passionali di cui la persona aveva paura.
Per Freud lo scopo della psicanalisi era portare alla luce questi abitanti della mente e neutralizzarli. Freud era un grande amante dei cani e molto spesso durante le sue sedute di psicoterapia aveva la compagnia di uno dei suoi Chow Chow, Jofi. Sigmund si accorse così dell’effetto calmante che il cane aveva verso i suoi pazienti e riteneva che fosse in grado di comprendere il loro stato emozionale; lo psicoanalista riusciva quindi a valutare questo stato del paziente proprio grazie a Josi.
Con la fine del conflitto mondiale si ebbero numerosi reduci con disturbi psichici, nel tentativo di portare loro sollievo, in Francia e successivamente negli Stati Uniti furono impiegati animali a scopo assistenziale. I pazienti, prendendosi cura di loro, riuscirono a ritrovare un clima di serenità ed affetto che suscitò molto entusiasmo nel personale medico.
Nel 1953 il neuropsichiatra infantile Boris Levinson aveva in cura un bambino affetto da una grave forma di autismo, questo venne sottoposto a qualsiasi tipo di intervento, senza avere alcun tipo di risultato. Un giorno però i genitori accompagnarono il figlio alla seduta in anticipo rispetto all’appuntamento stabilito. In quel momento lo psichiatra era impegnato nella stesura di uno scritto e fece accomodare la famiglia nello studio dimenticandosi però di far uscire il proprio cocker, Jingles.
Appena l’animale vide il bambino si diresse subito verso di lui e cominciò a leccarlo, il piccolo non mostrò alcun timore verso il cane ed iniziò a toccarlo dolcemente. Alla fine dell’incontro il bambino manifestò il forte desiderio di tornare nello studio di Levinson per poter nuovamente giocare con Jingles.
Negli incontri successivi grazie alla presenza del cane lo psichiatra riuscì a stabilire un rapporto con il piccolo, la presenza dell’animale gli permise di comunicare in maniera indiretta proiettando su di lui le proprie emozioni che altrimenti sarebbero state inesprimibili.

LA NASCITA DELLA PET THERAPY
Dopo questo avvenimento Levinson iniziò a utilizzare nelle sue sedute gli animali da compagnia, cani o gatti a seconda del paziente che aveva di fronte, sviluppando così la teoria della “Pet oriented child psycotherapy”, basata sull’idea che il bambino si identificasse con l’animale che permetteva così di fare da tramite. Lo psichiatra dimostrò che la relazione tra esseri appartenenti a specie diverse poteva avere effetti curativi utilizzando per la prima volta nella storia la denominazione “Pet therapy”.
Nella metà degli anni Sessanta due psichiatri americani iniziarono ad applicare la pet therapy a pazienti adulti con problemi psichici o ad anziani ricoverati in strutture geriatriche. Indagarono poi sulle reazioni psicobiologiche del cane durante la terapia, dimostrando che gli animali si rapportano all’uomo senza pregiudizi e la loro dipendenza da essi gli permette di instaurare un sentimento di protezione nei suoi confronti.
Questi studiosi si resero conto di come i pazienti studiassero tutti movimenti degli animali ed in un secondo momento si prendevano cura di loro per molto tempo. Successivamente introdussero i cani direttamente nelle stanze dei pazienti; nel progetto furono coinvolte varie razze canine con diverse caratteristiche: fox terrier a pelo lungo, dotato di grande temperamento, il beagle, energico e socievole, il border collie, intelligente ed instancabile, il labrador retriever, giocoso ed espansivo, il siberian husky, indipendente e gioviale ed il pastore tedesco, equilibrato ed attivo.
Gli psichiatri notarono così che nel corso della terapia i diversi pazienti preferivano un cane piuttosto che un altro e compresero che l’animale provocava su di essi un’attrazione. Queste relazioni vennero registrate da videocamere i cui filmati vennero successivamente esaminati permettendo di acquisire informazioni sul vissuto del malato che erano altrimenti sconosciute.
Gli effetti furono sorprendenti. I due studiosi riuscirono così a dimostrare che l’introduzione dell’animale era in grado di modificare qualsiasi tipo di contesto, poiché riduceva le emozioni negative.

Fonte: nurse24.it

https://www.nurse24.it/dossier/salute/com-e-nata-la-pet-therapy.html