Nell’immaginario collettivo il processo terapeutico passa unicamente attraverso la parola, come avveniva nel famoso studio di Freud, in cui il paziente accomodato sul divano, raccontava i suoi sogni e i suoi vissuti, mentre l’analista, alle sue spalle, lo ascoltava in silenzio, commentando e ponendogli domande.

E sull’efficacia della psicoterapia, di ogni ambito, sulla salute psico-fisica non c’è ormai più dubbio: le ricerche più attuali riconoscono i suoi effetti persino sulle aree cerebrali, migliorando il metabolismo, in particolare, nelle aree limbiche, e favorendo così una maggiore elaborazione e consapevolezza emotiva. Un miglioramento, questo, che nemmeno i più moderni farmaci sono riusciti a raggiungere e che solo il contatto umano ed il riconoscimento possono permettere. Ci tengo a sottolineare il concetto di contatto umano e di riconoscimento, poiché sono presenti anche nelle forme di psicoterapia non verbale dove la parola viene meno, come nel caso di ragazzi con autismo severo pre-verbale, o in ogni forma di comunicazione, seppure verbale. Esempio comune ed emblematico potrebbe essere quello di un consulto medico specialista, in cui postura, tono della voce, stile comunicativo del medico contribuiscono ad una migliore compliance terapeutica e riducono il rischio di drop out al trattamento, come insegna la branca della psicologia clinica e della medicina, denominata psicosomatica, ideata da F. Alexander, psicoanalista statunitense di origine ungherese, nella prima metà del Novecento; egli propose, infatti, un nuovo modo di guardare alla malattia, non più come solamente fisica o mentale, ma in maniera ampia e complessa, riconoscendo il ruolo di entrambi i fattori in ogni forma di disagio o di disturbo.

In casi ben più complessi, la comunicazione non verbale e l’utilizzo del corpo possono divenire vere e proprie forme terapeutiche, come nella Danza-Movimento Terapia, nata negli anni settanta in America e diffusasi successivamente anche nel continente europeo. Viene praticata dopo aver seguito un dato iter formativo, delineato dalla European Conference for Professional developmentof Dance Movement Therapy, promuovendo attraverso danza e movimento, comunicazione, processi creativi, integrazione psicofisica e benessere totale. Ha un notevole impatto sulla qualità della vita e si incentra sui bisogni personali di ogni singolo individuo, lavorando individualmente o in équipe. Permette anche di favorire socializzazione e di sviluppare nuove forme interattive tra i membri del gruppo ed è facilmente attuabile sia in contesti privati che pubblici, come centri diurni e comunità terapeutiche. Si rifà, inoltre, a tradizioni primitive e tribali, in cui ogni movimento ha lo scopo di mettere in comunicazione la persona con il suo corpo, il suo spirito e gli altri membri del gruppo.

Un po’ prima rispetto alla danza-movimento terapia, nacque negli Usa, l’Art-therapy, in particolare, a fine Ottocento; fautore del nuovo approccio fu Margaret Naumburg, psicologa, psicoanalista, artista ed educatrice, seguace del grande Freud, che guardava alle produzioni artistiche dei suoi pazienti, come mezzo per accedere più facilmente ai loro contenuti inconsci e favorirne così la guarigione. Successivamente, tra gli anni ’40 e ’50 del Novecento, a seguito dell’interesse per i gravi disturbi mentali riportati dai reduci di guerra, si riscontrò un maggiore interesse per questo approccio, divenendo proprio una forma terapeutica a sé per i grandi benefici che apportava. Innanzitutto, l’Art-therapy favorisce rilassamento e riduzione dello stress, oltre che permette una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie emozioni. Non bisogna, inoltre, dimenticare il grande ruolo comunicativo: i primi uomini si affidavano al graffito per comunicare con gli atri membri del gruppo o addirittura con i posteri; anche i bambini, spesso, comunicano più facilmente attraverso il disegno che con le parole, pertanto, il loro grande uso nei contesti giudiziari. Si deve, quindi, sottolineare il suo grande impiego in contesti riabilitativi, con persone portatori di disabilità di differente tipologia e severità, e di prevenzione, come strumento per l’educazione dei giovani e la rieducazione di gruppi devianti.

Interessantissima e molto utilizzata, anch’essa in contesti individuali e gruppali, sia pubblici che privati, è la musicoterapia, una modalità di approccio terapeutico che utilizza la musica ed il suono come canale comunicativo, sia per un intervento educativo, sia per uno riabilitativo o terapeutico. È importante riflettere su come la prima forma di comunicazione umana sia proprio musicale: il baby talk, ovvero la comunicazione sonora tra madre e bambino, infatti, è ricca di suoni, amplificazione dei toni e grande ritmo, e permette alla madre e al bambino di rafforzare la connessione tra gli emisferi destri che inizia dallo sguardo. Pertanto, la musica, proprio come l’arte, la danza ed il movimento, è un elemento naturale, che se usata in contesto terapeutico, ha notevoli effetti sulla plasticità cerebrale, deficit di apprendimento e difficoltà linguistiche. Può, quindi, divenire una esperienza di comunicazione, crescita, a anche di elaborazione traumatica, comprendendo sia la sfera emotiva che quella relazionale. Proprio nei disturbi dello spettro autistico, citati in precedenza, questa forma terapeutica può favorire rilassamento, migliorare l’apprendimento, ridurre lo stress ed essere un importante mezzo per entrare a contatto con il mondo altrui, senza sentirsi invasi o invadere.

Un’altra forma di terapia famosissima è rappresentata dall’analisi bioenergetica, fondata da A. Lowen, medico e psicoterapeuta statunitense, negli anni ’50 del Novecento, mettendo insieme il processo analitico ed il lavoro sul corpo attraverso una serie di esercizi corporei, da praticare in gruppo o da soli. Pone grande attenzione alla respirazione e al suono, inteso nella sua forma più primitiva e spontanea, spesso repressa dall’educazione e dalle regole sociali. Il corpo e la mente sono percepiti in modo olistico, ed è necessario, pertanto, favorire la loro connessione, rafforzando consapevolezza e conoscenza personale. La parola ha un ruolo importante, poiché permette al terapeuta di indirizzare i pazienti attraverso gli esercizi ed il movimento, ma il paziente ha a disposizione più canali per comunicare, qualora non potesse usare la parola: il corpo, la sua rigidità, la sua sensibilità, le sensazioni e le emozioni che prova, emergono chiaramente nella postura e nella flessibilità del movimento e sono un canale chiaro e coerente di comprensione per il terapeuta. Pertanto, è stata definita una forma psicoterapia corporea e trova grande applicazione soprattutto in problemi psicosomatici e somatopsichici per la grande attenzione che rivolge alla persona nella sua totalità e unicità.

La psicoterapia senso-motoria è una nuova forma di psicoterapia corporea, molto utilizzata nelle casistiche traumatiche. Questa forma di psicoterapia guarda al corpo come elemento portante della terapia, sia in fase valutativa che trattamentale, pone attenzione sulla consapevolezza corporea e cinetica che il soggetto possiede e che è lo specchio dei suoi vissuti, dei suoi stati emotivi e cognitivi. Inoltre, contribuisce a implementare, con tecniche e strategie specifiche, il monitoraggio delle sensazione fisiche, la postura, la capacità di movimento, attraverso un processo bottom-up, dal corpo alle emozioni, alla cognizione. Una delle principali strategie riguarda il confrontarsi con i ricordi e con il passato attraverso esercizi senso-motori, in uno stato di rilassamento psico-fisiologico, differente rispetto a quello che si riscontra in un evento traumatico o in una rievocazione traumatica, il quale permette poi, di passare ad un confronto emotivo e cognitivo.

Infine, ultimo approccio che vorrei delineare, riguarda la mindfulness, molto in voga negli ultimi anni, che mette insieme meditazione buddhista e psicologia. Il soggetto è invitato attraverso la meditazione e la respirazione consapevole a porre l’attenzione sul hic et hunc (qui ed ora). Grazie in primis a J. Kabat-Zinn, professore di medicina presso la University of Massachussetts, la mindfulness ha trovato grande applicazione in ambito medico, educativo, organizzativo e psicoterapeutico, in quanto applicabile anche nei contesti in cui la parola non è la principale forma di comunicazione o la prediletta. E’ in grado, infatti, di far acquisire maggiore consapevolezza di sé con modalità sensoriali e intuitive, che possono poi essere accompagnate da un commento verbale.

Pertanto, non posso che invitare tutti a guardare oltre le parole, quando queste siano o meno presenti, e di non credere che la psicoterapia non possa essere utile a chi non riesce a comunicare verbalmente, guardando al meraviglioso panorama di approcci terapeutici che esistono.

Riprendendo il saggista ed economista Peter Drucker, vorrei ricordare che:

“La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto”.

Fonte: stateofmind.it

https://www.stateofmind.it/2020/10/psicoterapia-comunicazione-non-verbale/