Capita di sentirsi soli, anche in mezzo ad altre persone; di soffrire per una vita sociale discrepante rispetto a quella che si vorrebbe avere; di smettere di fare progetti per il futuro. La solitudine ha tante facce e declinazioni soggettive. C’è chi vive serenamente da single e chi si sente abbandonato se il partner esce di casa per andare a lavorare. Quello che non si sapeva – e che emerge in un recente studio americano pubblicato sul Journal International Psychogeriatrics  – è che si manifesta con forza in determinate stagioni della vita: dopo gli 80 anni, ma anche alla fine dei 20 e a metà dei 50. “La solitudine – spiega lo psichiatra e psicoterapeuta Francesco Cro, direttore dell’unità operativa Salute Mentale Viterbo C- è una dimensione inevitabile dell’esistenza. Se viene vissuta come esperienza di abbandono è negativa. Ma può anche essere un momento di raccoglimento e di crescita interiore. A fare la differenza sono le difese che abbiamo sviluppato, la nostra solidità interiore”.

• LE STAGIONI DELLA SOLITUDINE
Le stagioni della solitudine, dice lo psichiatra, corrispondono a fasi di transizione esistenziale, momenti in cui ci sentiamo come sospesi, più fragili.

Se l’infanzia non dovrebbe lasciare spazio alla solitudine (“Ogni bambino – dice Cro – dovrebbe avere il diritto di essere amato e accudito) i giovani, contrariamente a quanto si crede, sono i più a rischio di quel disagio esistenziale in cui la solitudine non è reale, come per gli anziani, ma nasce dalla difficoltà nel trovare la propria dimensione nel mondo.

Alla soglia dei 30 anni dovrebbe cominciare la vita adulta, sogni e progetti dovrebbero concretizzarsi. “È il momento in cui costruire il nostro futuro, eppure, soprattutto nella società attuale, è molto difficile riuscirci. Questo è fonte di ansia per chi non ha una base solida, costruita grazie ad istruzione, lavoro e affetti”.
Intorno ai 50 anni termina la giovinezza. “Si fa un bilancio della prima parte della vita e ci si prepara a una fase in cui ci sarà un declino della prestanza fisica, della salute e di tante altre cose che allietano l’esistenza”.

Il dato più intuitivo riguarda gli anziani. “Nel tempo gli affetti si perdono e non sempre abbiamo la fortuna di avere accanto familiari che ci vogliono bene. Ma l’età più avanzata può essere anche un momento di serenità se il bilancio che si fa della propria vita è positivo. Ovvio che poi il rischio di malattie fisiche, la perdita di mobilità o memoria peggiorano la solitudine e di conseguenza la salute mentale”.

  • QUANDO DIVENTA SOFFERENZA
    Chiunque, anche se anziano, se sta bene fa progetti per il futuro. Smettere di farne è segnale che qualcosa non va. Sentirsi soli può avere un impatto reale sulla nostra salute portandoci ad abitudini di vita malsane, come fumare o trascurare visite e controlli medici. Questo stato è associato al declino della salute fisica, di quella mentale e della cognizione. “È un fattore di rischio per la depressione che a sua volta porta ad abuso di sostanze e, in un circolo vizioso, acuisce l’isolamento – spiega lo psichiatra-. Può portare anche a disturbi più gravi di tipo psicotico, come la perdita di contatto con la realtà e l’immersione in un mondo di fantasia”.

    • COME CONTRASTARLA
    Quando la solitudine si trasforma in sofferenza diventa importante avere le informazioni necessarie per chiedere aiuto a servizi specialistici, senza dividere tra dolore fisico, psichico e inadeguatezza sociale, perché “sono tre aspetti di un unico caso di disagio”.

    Può essere oggettiva, legata allo sfaldamento delle strutture sociali. In questo caso, spiega lo psichiatra, per contrastarla servono per gli anziani politiche e servizi sociali per favorire ad esempio l’autonomia negli spostamenti, il contatto con persone vicine e in grado di intervenire, centri di socialità come gli Alzheimer caffè. “Se soggettiva andrebbe stimolata la promozione di incontri di sensibilizzazione in scuole, manifestazioni culturali e pubbliche sul valore della compagnia umana e della solidarietà”.

    • IL LATO POSITIVO
    Ma vivere momenti di solitudine non è necessariamente qualcosa di negativo. “Sono indicati nella vita per riflettere, come anche i momenti di introversione e di malinconia possono aiutare a raccogliersi dopo una sconfitta per poi ricominciare”. Però per non esserne schiacciati bisogna essere attrezzati. “Avere una rete di persone che ci vogliono bene è fondamentale per la nostra salute. Chi ha stabilito rapporti solidi con persone significative, li ha interiorizzati, è sicuro della sua situazione affettiva e può affrontare una solitudine anche tremenda come quella degli astronauti”. Chi invece ha avuto un’esperienza di accudimento carente è più vulnerabile. “Le esperienze che ci segnano sono quelle più precoci: se abbiamo avuto genitori che si sono presi cura di noi ci portiamo dentro la loro immagine rassicurante; ma se siamo cresciuti privi del calore emotivo necessario avremo sempre bisogno di appoggiarci a qualcuno o qualcosa, come alcol o farmaci ansiolitici”, spiega lo psichiatra.

    • LA SAGGEZZA COME DIFESA
    C’è un legame, secondo lo studio, tra solitudine e saggezza, intesa come conoscenza generale della vita; gestione delle emozioni; empatia, compassione, altruismo e senso di giustizia; intuizione; accettazione di valori divergenti; capacità di prendere decisioni rapide ed efficaci quando necessario. Essere saggi in qualche modo ci protegge dalla solitudine. “Il riferimento alla saggezza come possibilità di salvezza è interessante – commenta Cro – rimanda a una visione più orientale della vita, che recupera dimensioni non legate solo alla produzione di ricchezza e beni, con cui oggi misuriamo il valore delle nostre vite, ma a un valore di compassione, di empatia con gli altri. Questo spiega come si possa essere felici o meno in diverse fasi della vita. Il segreto della felicità potrebbe essere proprio questo: mantenere la sintonia emotiva con le persone che ci circondano”.

Fonte: repubblica.it

https://www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2019/01/15/news/la_solitudine_ha_un_eta_-216315595/?refresh_ce