Il nome Hikikomori è un termine giapponese e deriva da “hiku” – tirare e “komoru” – restare in disparte, e significa letteralmente isolarsi, mettersi da parte. (Karin Bagnato – 2017). Gli hikikomori sono stati rilevati per la prima volta nel sol levante, i primi casi vengono infatti evidenziati nel 1978 da Yoshimi Kasahara (Stephen Ilardi, 2012) come “neurosi da isolamento”. Nel tempo il fenomeno è andato aumentando e attualmente in Giappone si contano circa un milione e mezzo di casi, ha iniziato a manifestarsi anche in altri paesi, sempre in società di tipo avanzato e altamente tecnologico come l’Italia, che negli ultimi anni ha visto un’espansione preoccupante del fenomeno. In Italia nel 2017 si contavano circa 30.000 casi affermati e una stima di circa 100.000 possibili sommersi (Karin Bagnato, 2017).

Per le peculiari caratteristiche del fenomeno, il conteggio puntuale dei casi risulta molto complesso, ed essendo di nuova emersione, gli strumenti per affrontarlo in ambito pubblico sono ancora carenti e poco strutturati. Per essere effettivamente definito un hikikomori, nel 2003 il governo giapponese ha stilato i seguenti punti (Ministero della salute e del lavoro giapponese, 2003):

  1. Vita quotidiana svolta principalmente in casa
  2. Nessun interesse a perseguire una vita scolastica o lavorativa
  3. Persistenza dei sintomi superiore ai 6 mesi
  4. Esclusione di schizofrenia, ritardo mentale o altre patologie di tipo psichico e psicologico che farebbero rientrare la persona in un’altra casistica
  5. Esclusione di chi mantiene relazioni interpersonali

Differenze Italia – Giappone

In Giappone gli hikikomori sono quasi esclusivamente maschi (circa il 90%) e il loro isolamento è non solo verso il mondo esterno, ma anche verso la propria famiglia, la reclusione avviene infatti nella maggior parte dei casi all’interno della propria stanza. Finché non è comparsi in altri paesi, il fenomeno veniva riconosciuto come prodotto peculiare della società giapponese, individuando le cause nel rapporto familiare (madre iperprotettiva, padre assente), nel bullismo (ijime), particolarmente violento e punitivo oltre che socialmente accettato e incoraggiato, e nella forte competizione che caratterizza il sistema scolastico giapponese (Giulia Sagliocco, 2011).

Con l’emersione del fenomeno in Italia si evidenziano alcune importanti differenze, innanzitutto l’importante differenza di distribuzione tra maschi e femmine (la stima è rispettivamente per i due sessi del 70% e 30%), l’isolamento più frequentemente limitato alla casa piuttosto che non all’intera famiglia con il mantenimento dei rapporti familiari e condivisione dei momenti comuni quali pranzo o cena, nonché il mantenimento di relazioni online con amici e affetti (Karin Bagnato , 2017). Il sistema scolastico italiano si presenta come strutturalmente meno competitivo, in particolare rispetto alla possibilità di recuperare e cambiare percorso più facilmente rispetto a quello giapponese, dove il punteggio dei test scolastici impatta sull’età adulta fin dalle elementari. Anche il bullismo, per quanto presente in Italia e spesso problematico, si configura come differente, meno violento, meno mirato a singoli e non apertamente incoraggiato (Karin Bagnato, 2017).

Esempio di un diverso approccio: rental oneesan

Un’altra importante differenza è la trattazione del fenomeno, infatti in Giappone le famiglie non sono in relazione tra loro e le opzioni sono: la possibilità di inserire la persona in progetti scolastici appositi in strutture particolari che si occupano di creare un’educazione priva di punteggi e con attività differenti, o noleggiare una cosiddetta rental oneesan – sorella in affitto, una persona di sesso femminile assunta per incoraggiare la persona ad uscire, seguendola come una sorella di età maggiore. A tal proposito si prenda ad esempio la visione dell’anime NHK, che ben descrive il tipo di rapporto che si auspica si instauri tra la sorella in affitto e l’hikikomori (Marialuisa Mazzetti, 2020).

In Italia il fenomeno è affrontato principalmente da psicologi e associazioni con una sempre più presente presa di coscienza da parte degli istituti scolastici e pubblici. Interessante è notare come siano gli psicologi più giovani ad avere successo nella trattazione del fenomeno, che modificano la propria modalità di fare terapia arrivando ad avvicinarsi al ruolo di fratello/sorella maggiore (la terapia risulta più destrutturata in termini di tempo, la modalità è spesso online, nella casa dell’hikikomori o attraverso la porta della sua stanza) (Karin Bagnato, 2017).

Le associazioni hanno un ruolo fondamentale e si occupano di fare advocacy e di mettere in relazione le famiglie, attutendo l’isolamento almeno del nucleo e creando una rete di supporto in grado di crescere e apprendere attraverso esperienze collettivizzate (tra le più importanti si cita Hikikomori Italia Onlus). Rispetto all’ambito scolastico viene utilizzata l’istruzione BES (Bisogni educativi speciali), che consente agli hikikomori di non perdere il percorso scolastico, e rimanere agganciati alla realtà esterna anche se con l’adattamento del sistema alle particolari necessità.

Punti interessanti nel caso italiano

Tra i punti più interessanti che emergono in Italia, vi è la differenza tra maschi e femmine hikikomori, le femmine si presentano come più consapevoli della propria scelta, e nutrono un minore risentimento verso la società esterna o verso l’altro sesso, mentre i maschi hikikomori evidenziano una scelta maggiormente dovuta a cause esterne, come una società opprimente, competitiva e un rapporto con l’altro sesso problematico (Marialuisa Mazzetti, 2020).

Elemento caratteristico degli Hikikomori è l’utilizzo del pc e di internet, tanto da essere spesso confuso con una dipendenza da internet o da videogiochi, elemento più volte contestato dagli psicologi che si occupano del fenomeno ma ancora in fase di dibattito su quanto effettivamente influisca nel mantenerlo attivo. (AA.VV, Il corpo in una stanza, 2015). È noto che in Giappone, molti hikikomori di lunga data non abbiano più nemmeno l’esigenza di utilizzare il computer, ma si evidenziano l’insorgere di patologie psicologiche dovute al prolungato isolamento quali paranoia e depressione. Numerosi sono i casi documentati in Giappone che trattano episodi di violenza (e in casi estremi e più rari, di omicidio) da parte di hikikomori di lungo periodo (6- 10 anni o più), il più delle volte nei confronti della madre che è anche la figura più presente all’interno della casa.

Principali cause del fenomeno

Tra le teorie più seguite in ambito psicologico c’è l’idea che il fenomeno si manifesti più facilmente in famiglie dove la madre è particolarmente protettiva, che i fattori predominanti a scatenarlo siano la competizione sociale/scolastica e il bullismo anche in forma latente (Carla Ricci, 2014), si evidenzia però un forte orientamento a mantenere lo studio principalmente rivolto ai soggetti maschi, includendo le femmine nella trattazione potrebbe modificarsi sia l’impatto del bullismo, sia quello del rapporto con la madre, che sarebbe comunque molto differente dal punto di vista psicologico.

Una recente e prima indagine di tipo sociologico sul fenomeno italiano, ha evidenziato invece come le caratteristiche di somiglianza tra la società giapponese e italiana, non siano tanto nella composizione nucleare (madre iper protettiva, padre assente) che nel fenomeno può in realtà variare molto, ma nel rapporto che la famiglia nucleare ha con la società stessa. L’approccio sociologico consente infatti di valutare maggiormente come la famiglia si rapporti all’esterno e quante figure partecipino all’educazione e alla crescita dei giovani hikikomori. (Mazzetti Marialuisa, 2020).

In entrambe le società, i ragazzi sono difficilmente in contatto con altre persone che non siano i genitori, figure istituzionali o gruppo dei pari, e si evidenzia come siano venute a mancare nell’evoluzione delle società altamente tecnologiche, tutte le figure mediane quali zii, cugini, esterni parte di un gruppo informale, ma anche tutte quelle situazioni di variabilità familiare, che consentivano la maturazione di identità e strumenti utili alla formazione dei giovani attraverso una moltitudine di rapporti differenti (Saraceno Chiara, Naldini Manuela, 2013).

L’importanza dell’analisi sociologica del fenomeno

Un altro importante elemento che emerge da un’analisi sociologica piuttosto che psicologica è la significativa analogia con un’altra categoria, analizzata nel saggio “La doppia assenza”, ovvero gli algerini emigrati in Francia (Marialuisa Mazzetti, 2020). Quando capita di ammalarsi, di fermarsi dalla routine, una particolare reazione degli immigrati algerini di lungo periodo, è infatti quella di mantenere lo stato di malattia come scelta (più o meno consapevole) anche in assenza di sintomi oppure, in alternativa di entrare in pensione prematuramente, non tanto per un vantaggio materiale, quanto come modalità di vita, riducendo la propria identità alla casa, modificando il proprio abbigliamento e di fatto rinunciando alla competizione sociale, al lavoro e alle attività e soprattutto alle responsabilità dell’uomo adulto.

Sayad, evidenzia come la ricerca di un’identità “passiva” degli algerini emigrati, nasca dalla mancanza di uno scopo, di un’aderenza alla società di appartenenza, che anche senza elementi di spinta forti (es. bullismo), non fornisce più una narrazione personale sufficiente a giustificare lo sforzo e l’azione del singolo, staccato già prima dell’isolamento, da una narrazione più collettiva e meno individuale. Nonostante i diversi studi svolti finora, il fenomeno è ancora lontano dall’essere pienamente compreso e ancora mancano gli strumenti in grado di prevenirlo. Sicuramente osservarlo da punti di vista differenti può essere la strada giusta per iniziare realmente a comprenderlo.

Fonte: sociologicamente.it

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