QUALCHE tempo fa si è diffusa la notizia di una bambina britannica di 9 anni finita dallo psicoterapeuta a causa della sua dipendenza da Fortnite. Ha avuto bisogno di un periodo di riabilitazione dopo aver manifestato una serie di preoccupanti atteggiamenti legati, a quanto pare, alla sua “passione” forsennata per il gioco della statunitense Epic, divenuto un fenomeno senza precedenti per coinvolgimento, ricavi (oltre 300 milioni di dollari solo lo scorso maggio) e dinamiche sociali che ha innescato. Per esempio la piccola si svegliava in segreto la notte e giocava anche fino a 10 ore di fila, dimenticava di andare in bagno ed era perfino arrivata a colpire il padre quando questi aveva tentato di toglierle la Xbox One regalatale lo scorso gennaio e su cui aveva appunto scaricato e installato Fortnite.
Ora un nuovo allarme legato al videogame dei record, che continua la sua evoluzione col lancio della sesta stagione e nella modalità “battle royale” ha trovato la svolta milionaria dopo anni di insuccessi, arriva dagli Stati Uniti. Si tratta in realtà di un appello, un po’ confusionario, che sta circolando fra siti, reti e soprattutto emittenti locali affiliate ai grandi network partito da un approfondimento giornalistico reo di aver scomodato un paragone piuttosto pesante: quello con l’eroina. Secondo alcuni esperti il titolo in cui si combatte (ma senza far scorrere una goccia di sangue) tutti contro tutti, in ottica di sopravvivenza “last man standing”, potrebbe generare una dipendenza di quel genere e potrebbe “intervenire nello sviluppo cerebrale del proprio figlio”.
Le denunce che arrivano da oltreoceano sono spesso accompagnate da testimonianze piuttosto inquietanti. “Lo descriverei come un’ossessione – ha per esempio spiegato una mamma alla Nbc Charlotte – è tutto ciò che vogliono fare. Non hanno voglia di altro: non i compiti, non uscire di casa”. Solo giocare a Fortnite, comprare skin e nuove emote, lanciarsi su quell’isola dove di tanto in tanto, fra paludi e cubi, succedono cose strane.
Un’altra testimonianza, raccolta invece a Greensboro, in Carolina del Nord, racconta di un teenager che avrebbe ammesso di aver continuato a giocare perfino durante il recente arrivo dell’uragano Florence: “Ero in casa e stavo giocando a Fortnite e all’improvviso ho sentito un rumore – ha spiegato Anton Williams – ho guardato fuori dalla finestra e ho visto i tetti saltare dalle case di fronte a me. Mi sono rimesso seduto perché rimanevano un paio di giocatori nella partita e stavo provando a finire il gioco. Ma poi le cose sono peggiorate e l’elettricità è saltata”. Solo a quel punto si sarebbe messo al riparo in bagno con la sorella e il nipote. Testimonianze certo estreme, casi al limite che tuttavia trovano una coerenza fra loro ma che non possono, in assenza di studi scientifici accurati, produrre alcun genere di conclusione.
A sollevare il caso è stato in particolare un report di Abc 8 News-Wric nel quale alcuni esperti interpellati – ma soprattutto genitori – hanno spiegato come Fortnite spinga alla produzione di dopamina e di altre sostanze chimiche nel sangue, che creerebbero effetti molto simili a quelli della dipendenza da droghe pesanti. Un po’ le stesse dinamiche che alcuni studi hanno legato ai social network, spesso definiti “slot machine da tasca”, ma in chiave ancora più accentuata.
Secondo gli esperti “causa delle voglie da esaudire senza le quali i ragazzini non possono vivere, e ne diventano ossessionati”. Se è per questo, neanche solo i teenager visto che un report del sito specializzato divorce-online.co.uk ha imputato proprio ai titolo Epic un’impennata delle richieste gestite dalla piattaforma. Entrambi i report lasciano il tempo che trovano, visto che non vengono riportati alcuni studi scientifici, gli esperti non sono specificati (o quando lo sono si tratta di pur noti psicoterapeuti e consulenti come Chris McCarthy) e, anche limitandosi ai casi di cronaca, il fenomeno non appare certo sfoggiare le dimensioni di una dipendenza di massa. Anche perché a Fortnite giocano ogni mese 80 milioni di utenti per un totale di 125 milioni di download in tutto il pianeta.
IL “GAMING DISORDER” SECONDO L’OMS
A parte la necessità di spegnere questo genere di allarmismi è pur vero che lo scorso giugno l’Organizzazione mondiale della sanità aveva inserito la dipendenza da videogame nella bozza dell’undicesima edizione della classificazione internazionale delle malattie (Icd-11) anche se, parve di capire, più con la speranza che il riconoscimento di questo tipo di disagio possa favorire il ricorso a opportune terapie che con la certezza delle patologie. In ogni caso il “gaming disorder” è finito in quella che può essere definita “l’enciclopedia” mondiale delle patologie nella sezione sui disturbi da dipendenza, a sua volta nel capitolo dedicato a “Disturbi mentali, comportamentali e dello sviluppo neurologico”.
“Si stanno muovendo molte critiche su quest’ultimo passaggio, tutto sommato non ci sono grandi prove scientifiche che possano giustificare una correlazione così netta fra il videogame e una dipendenza – racconta Alberto Rossetti, psicologo e psicoterapeuta esperto in dipendenze giovanili dalle nuove tecnologie – in realtà, se l’Oms l’ha inserito con certezza, l’altro manuale di riferimento dedicato ai disturbi mentali, il Dsm (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) ha deciso di inserire il “gaming disorder” fra le malattie da approfondire”.
Al netto di questa cautela c’è senza dubbio da approfondire quanto accade sotto i nostri occhi: “Che ci possano essere situazioni come quelle descritte in queste cronache è assolutamente vero, dopodiché questo può essere dovuto anche ad altri fattori – aggiunge Rossetti – l’aspetto da sottolineare è che ogni adulto dovrebbe provare a capire in che modo il figlio utilizzi il videogioco, come reagisca agli stimoli e quale sia l’ambiente sociale intorno a lui. Quando manifesti certi sintomi, il videogame potrebbe anche rappresentare un rifugio da altre turbolenze. Dunque non si tratta tanto di stigmatizzare il gioco ma capire che in certe circostanze può portare a trascorrerci troppo tempo e a sviluppare sintomi simili alla dipendenza ma all’interno di un sistema non funzionante. La droga è droga”.
Può avere senso ricorrere a timer e avvisi che blocchino le partite dopo un certo numero di ore? “Sì, per alcuni ragazzi. Non per tutti – chiude l’esperto – può essere un sistema che attira l’attenzione, blocca la sessione e al momento sembra risolvere le questioni aperte. Ma se il ragazzo ha dei problemi, quelli rimangono e potrebbe trovare altri luoghi virtuali, magari i social, dove rifugiarsi”.

Fonte: repubblica.it

https://www.repubblica.it/tecnologia/prodotti/2018/10/03/news/fortnite_come_una_droga_l_esperto_bisogna_saper_riconoscere_il_vero_disagio_-208053337/?refresh_ce