La schizofrenia è un disturbo facente parte dei disturbi psicotici, all’interno di questa categoria riportata dal DSM 5, troviamo i seguenti disturbi: disturbo delirante, disturbo psicotico breve, disturbo schizofreniforme, disturbo schizoaffettivo e schizofrenia (DSM 5, 2014).
La peculiarità dei disturbi appartenenti a questa categoria è la presenza di allucinazioni e/o deliri: le prime consistono nella percezione di stimoli inesistenti, mentre il delirio consiste in una o più credenze erronee e bizzarre sulla realtà circostante (Ritsner et al., 2003).
Per avere un quadro generale sulla schizofrenia osserviamo tutti i sintomi che possiamo trovare in questo disturbo:

  • Sintomi negativi: sintomi che ‘’tolgono’’ facoltà cognitive, emotive o comportamentali al paziente, come per esempio la presenza di apatia.
  • Pensiero disorganizzato: disturbo della forma del pensiero, caratterizzato da un allentamento dei nessi associativi, incoerenza e deragliamento del pensiero.
  • Comportamento motorio grossolano: caratterizzato da bizzarrie come il non lavarsi, vestirsi in modo inusuale, agitazione motoria immotivata.
  • Sintomi positivi: deliri o/e allucinazioni.
    A livello epidemiologico, la prevalenza di questo disturbo si aggira intorno al 1% della popolazione, tipicamente l’esordio si osserva in adolescenza, non ci sono differenze nei tassi di prevalenza tra maschi e femmine sebbene nei maschi tenda ad esordire più precocemente e ad avere una prognosi peggiore (Ritsner et al., 2003).
    Gli studi sui correlati biologici della schizofrenia sono molti, dato che, trattandosi di un disturbo primariamente psichiatrico, il principale approccio a questa problematica è di tipo farmacologico; tuttavia per comprendere quali psicofarmaci utilizzare, bisogna prima capire cosa accade a livello cerebrale (Messias & Eaton, 2007).
    Uno studio recente pubblicato quest’anno sulla rivista Brain (Chand et al. 2020), ha dimostrato la presenza di due tipi di schizofrenia. Lo studio è stato condotto su un campione di 300 soggetti schizofrenici che sono stati sottoposti a risonanza magnetica, e su 364 soggetti appartenenti al gruppo di controllo composto da persone sane le quali sono state sottoposte anch’esse a risonanza magnetica (Chand et al. 2020).
    I risultati mostrano come si delineino principalmente due tipologie di schizofrenia associate a diverse condizioni cerebrali, chiamate rispettivamente sottotipo 1 e sottotipo 2. Soggetti con schizofrenia di sottotipo 1 mostrano volumi minori per quel che riguarda la sostanza grigia, il talamo, il nucleo accumbens, la corteccia prefrontale e la corteccia insulare. I soggetti con schizofrenia di sottotipo 2, invece, mostrano un aumento di volume di alcune zone cerebrali, in particolare nei gangli della base e nella capsula interna (Chand et al. 2020).
    È importante specificare da un punto di vista metodologico che i gruppi che si sono delineati (sottotipo 1 e sottotipo 2) non differiscono per età, sesso, durata della malattia e farmaci assunti, andando cosi a rendere più solida questa distinzione dato che non è causata dalle variabili appena elencate (Chand et al. 2020).
    Inoltre, i risultati mostrano che la materia grigia correla negativamente con la durata della malattia (quindi al diminuire della sostanza grigia aumenta la durata della malattia) nel sottotipo 1, ma non nel sottotipo 2, suggerendo la presenza di processi neuropatologici differenti.
    L’importanza di questo studio risiede nella possibilità di sviluppare nuovi trattamenti personalizzati per i soggetti affetti da schizofrenia (Chand et al. 2020).

Fonte: stateofmind.it