In “Due o tre cose che so di Lei” l’allievo di Franco Basaglia parla anche di limiti della medicina. Come nella depressione di MICHELE FUOCO

È una sorta di ricettario per la salute mentale il libro “Due o tre cose che so di Lei” di Giovanni Rossi che racconta la sua esperienza di psichiatra e psicoterapeuta, per aver diretto il Distretto Socio Sanitario di Modena e il Dipartimento di Salute Mentale di Mantova.
Rossi ha strutturato il libro come un ricettario, perché il lettore possa ben orientarsi. Così l’autore si offre come uno chef il suo menu, ponendosi sulle orme della “psichiatria democratica”, quella di Franco Basaglia che ha avuto come maestro. E con Basaglia il Gruppo di Trieste, Giovanni Jervis, Agostino Pirella, Ferruccio Giacanelli, Carlo Gentili, Hryr Terzian, Sergio Piro, Alberto Merini, Armando Bauleo, Michele Tansella che hanno affrontato il problema della sofferenza mentale.
Rossi si sofferma sul significato di salute mentale che “alcuni pensano che nasca immacolata, come gli innocenti, e che col tempo si corrompa. Fa pensare all’equilibrio. E squilibrato chi ne è privo… Se mettiamo molecole (gli psicofarmaci) nel cervello, evidentemente pensiamo che la salute mentale sia una questione di cellule, membrane, e sostanze chimiche. Se, invece, intraprendiamo un percorso di introspezione, una psicoterapia, va da sé che pensiamo alla salute mentale secondo il modello della vita psichica”.
Molte le domande e le risposte, ma senza certezze. “Dovremmo cercare di scoprire e capire da dove viene. In questo ricettario della salute mentale propongo un menù di assaggi, di cui ho fatto esperienza personale. Sono le due o tre cose che so di Lei”, sostiene lo psichiatra che ha frequentato per 40 anni le sue sorelle: sofferenza e quasisalute. Nel libro Rossi affronta i problemi della depressione e degli antidepressivi. “Si viene portati ad intravedere stati di depressione in quelli che una volta erano definiti come comportamenti ansiosi, insonnia e attacchi di panico compresi. La depressione è un modo di vivere”. E a proposito degli antidepressivi, evidenzia, con una certa ironia, che essi non sono integratori alimentari. Non si sottrae a parlare del potere psichiatrico sulla salute mentale e dell’analfabetismo scientifico, si sofferma sull’efficacia della cura con le parole, ricordando, con che “il linguaggio è la casa in cui abita l’uomo”. Quella parola che diventò strumento di discussione per affrontare questioni di vita quotidiana tra gli ospiti dell’ospedale psichiatrico di Gorizia, dove Basaglia arrivò nel 1961 assumendone la direzione e, il primo giorno, rifiutò con coraggio di firmare il registro delle contenzioni. Un rifiuto morale che annunciava il nuovo corso per i pazienti che potevano decidere della propria vita.
Nel volume vengono prese in esame anche l’isteria, la violenza e la vulnerabilità, e approfondite storie in un percorso che porta al centro l’essere umano con le sue fragilità. Il ringraziamento di Rossi va pure a due amici e compagni, Vittorio Saltini e Mario Tommasini “esempi di bella politica al servizio dei senza poteri”. —

Fonte: gazzettadimodena.gelocal.it

http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2018/09/27/news/un-ricettario-per-capire-giovanni-rossi-racconta-storie-di-salute-mentale-1.17291997?refresh_ce