Negli ultimi vent’anni, il giro d’affari che in Italia ruota attorno alle prestazioni psicologiche e psichiatriche è è aumentato del 600%, passando da 110 a 800 milioni di euro. A livello globale, stando ai dati dell’OMS, il numero di persone che soffrono di ansia, depressione e altri disturbi mentali è più che raddoppiato dagli anni ’90 a oggi. Risultato? I sistemi sanitari non riescono a stare dietro alle necessità della popolazione: nel Regno Unito, metà delle persone che hanno bisogno di aiuto deve restare in lista d’attesa per oltre un mese. Una su dieci attende oltre un anno.

Ma quando si stanno affrontando problemi che influiscono pesantemente sulla propria vita, aspettare tutto questo tempo prima di ricevere aiuto rischia di compromettere seriamente la situazione. E così, un po’ come avvenuto con la sanità tradizionale, anche il mondo della psicologia sta scoprendo applicazioni e piattaforme online in grado di colmare vuoti e ritardi.

Hands Up Therapy, Healthstored, WorkGuru, HealthMapper, Moodbug e centinaia di altre – focalizzate su diversi disturbi, dallo stress sul lavoro all’alcolismo – sono presenti su App Store e Google Play; alcune delle quali accettate ufficialmente da istituzioni come il National Health Service britannico. Una delle più note è Joyable, che oltre a fornire un test per individuare quale potrebbe essere il disturbo, offre una serie di esercizi studiati per gestire i propri problemi e anche una consulenza online, via video, con specialisti del settore.

“La terapia cognitivo-comportamentale è uno dei trattamenti più diffusi per problemi di salute mentale come ansia e depressione”, si legge sul New Scientist. “Parlando con uno psicologo, i pazienti vengono aiutati a cambiare il modo in cui pensano e si comportano. L’idea che sta alla base della terapia basata su computer è di raggiungere risultati simili stimolando il cambiamento attraverso messaggi che arrivano su schermo invece che di persona”.

Come ha spiegato la psichiatra Glyn Lewis, la terapia cognitivo-comportamentale si basa più sull’educazione dei pazienti che sulla relazione con la persona che li ha in cura, ed è per questo che anche le applicazioni digitali possono aiutare ad affrontare problemi così delicati; liberando inoltre dal peso dello stigma sociale relativo ai disturbi mentali (che impedisce a molti di recarsi fisicamente da professionisti) e aiutando a incastrare la terapia negli impegni quotidiani.

Detto ciò: funzionano davvero le applicazioni per la salute mentale? Nel 2016 è stato condotto un test indipendente, in cui 690 pazienti a cui era stata diagnosticata la depressione sono stati divisi in tre gruppi. Il primo gruppo ha utilizzato Beating the Blues, una delle piattaforme in lingua inglese più note, un secondo gruppo ha sfruttato la app MoodGYM (dell’Università Nazionale Australiana), il terzo gruppo si è invece affidato alla terapia classica. I ricercatori hanno monitorato i progressi dopo 4, 12 e 24 mesi. I risultati, però, sono stati deludenti: “Le persone non si lasciano coinvolgere dalla tecnologia nella maniera in cui ci aspetteremmo”, ha raccontato Simon Gilbody dell’università di York.

È un po’ la stessa differenza che c’è tra pagare un abbonamento in palestra o usare un’applicazione gratuita per fare gli esercizi a casa: quale delle due ci motiverà di più a tenerci effettivamente in forma? Queste applicazioni, quindi, possono più che altro essere utili a iniziare il lavoro mentre si è in lista di attesa; sempre che qualcuno le usi per davvero. Secondo gli ultimi dati, le applicazioni che si occupano di meditazione, respirazione o salute mentale vera e propria sono state scaricate da milioni di persone. I dati raccolti dall’università israeliana di Haifa mostrano però come il 94% degli utenti smetta di usarle nel giro di 15 giorni.

I problemi, quindi, sono di due ordini: le persone le usano per troppo poco tempo e anche quelle che lo fanno regolarmente – come ha mostrato lo studio condotto su 690 pazienti – non ne ricevono grandi benefici. Significa che bisogna rinunciare al supporto digitale quando si affrontano determinate difficoltà?

Non proprio. Prima di tutto perché è stato mostrato come piattaforme di tipo differente – come il social network TalkLife, che mette in contatto persone che soffrono degli stessi disturbi – possono fornire un supporto importante; secondariamente, perché nuove app stanno venendo sviluppate proprio tenendo conto delle difficoltà a cui fino a oggi si è andati incontro.

Invece di offrire esercizi che poi pochi si prendono la briga di fare, queste applicazioni monitorano il comportamento degli utenti per individuare se le persone che soffrono di alcuni disturbi effettivamente stanno per avere una ricaduta nella depressione o in una crisi maniacale.

È il caso per esempio di Mindstrong, un’applicazione creata da tre medici, uno dei quali, Tom Insel, è l’ex direttore dell’Istituto per la salute mentale statunitense. A differenza di altre applicazioni che aiutano a fronteggiare l’ansia o la depressione, Mindstrong non offre giochi ed esercizi, ma analizza come utilizziamo il nostro smartphone. Una volta installato, questo software lavora in background per raccogliere dati relativi al modo in cui le persone digitano, cliccano o scrollano nell’uso quotidiano delle applicazioni usate normalmente.

Quanto velocemente o lentamente stiamo digitando i nostri messaggi? Quanto rapidamente passiamo da un’applicazione all’altra? Quanto riusciamo a restare concentrati su un testo? Quali errori compiamo mentre scriviamo? I dati raccolti vengono cifrati e analizzati in remoto, utilizzando un algoritmo di machine learning i cui risultati sono poi condivisi con il paziente e il medico che lo ha in cura. Queste informazioni biometriche, una volta analizzate dall’intelligenza artificiale (che li confronta con il nostro comportamento base e quello medio degli altri utenti), possono fornire indizi estremamente importanti, rivelando, per esempio, una ricaduta nella depressione o l’insorgere di una fase maniacale.

L’utente, quindi, non deve fare nulla se non installare l’applicazione e poi lasciare che analizzi il modo in cui usiamo lo smartphone. Per il momento, tutto questo è ancora in fase sperimentale; ma se i riscontri fossero positivi Mindstrong presenterebbe parecchi vantaggi: prima di tutto, non promette di risolvere problemi complessi come ansia o depressione, ma solo di accorgersi in anticipo se qualcuno sta avendo una ricaduta (laddove gli psichiatri hanno modo di intervenire solo quando questi sono in fase abbastanza avanzata); secondariamente, non rischia di essere utilizzato per tempi troppo brevi, visto che il paziente non deve fare nulla di particolare e potrebbe anche dimenticarsi di aver installato l’applicazione.

Ovviamente, ci sono parecchi aspetti che vanno indagati a fondo. Le applicazioni che si basano sull’intelligenza artificiale scovano soltanto le correlazioni, non le cause, e quindi potrebbero confondere per disturbi mentali dei comportamenti provocati dall’assunzione di medicinali (o di droghe) o da altri problemi contingenti (magari un utilizzo confusionario dello smartphone perché si sta correndo in aeroporto con le mani impegnate).

Come sempre in questi casi, i pro e i contro vanno valutati con attenzione (e non abbiamo nemmeno affrontato la questione della privacy). Quel che si può già oggi escludere è che applicazioni per la salute mentale possano risolvere da sole problemi così importanti. Che possano diventare un supporto al lavoro degli psichiatri, invece, è una concreta possibilità.

Fonte: esquire.com

https://www.esquire.com/it/lifestyle/tecnologia/a29759307/app-psichiatria-psicologia/