Ancora oggi appare importante interrogarsi sulla definizione di disturbo mentale, compiendo un’operazione che va ben al di là dell’etichettamento teorico.

Il costrutto di disturbo mentale è oggi particolarmente analizzato. Attualmente il costrutto di disturbo mentale è delineato nel DSM – 5, ovvero esso è inteso come una sindrome caratterizzata da un significativo disturbo clinico nell’ambito della cognitività, della regolazione delle emozioni o del comportamento, dovuto ad una disfunzionalità nell’ambito dei processi psicologici, biologici o di sviluppo, che sono alla base del funzionamento mentale. Il disturbo mentale è associato ad una significativa sofferenza e inabilità in ambito sociale, lavorativo e in altri importanti settori della vita. Alla luce di ciò, il disturbo mentale si può delineare come una condizione non rapportabile alla cultura di appartenenza dell’individuo, quanto piuttosto alla sua biografia psicosociale e che produce un disadattamento, una notevole sofferenza e una spiccata inabilità.

Disturbo mentale: la sua definizione e quella del suo opposto, la “normalità”

Il costrutto di disturbo mentale è oggi particolarmente analizzato per una serie di ragioni. In primo luogo il definire il patologico consente di delineare i paradigmi di una “presunta normalità”. Inoltre, avere degli archetipi che permettono di identificare dei sintomi ascrivibili alla patologia ha dei risvolti di ordine legale, riferibili, per esempio, all’imputabilità di un soggetto, di ordine psicosociale, relativi al ruolo di malato mentale, e di ordine terapeutico, rapportabili alla curabilità del disturbo stesso (Telles-Correia e al., 2018).

Attualmente la classificazione dei disturbi mentali più seguita è basata sulle evidenze cliniche presenti in un numero statisticamente elevato di individui (DSM – 5, 2013). Prima dell’avvento della classificazione sancita dal DSM, la nomenclatura delle malattie mentali era basata sui giudizi clinici e sull’esperienza dei medici che si erano interfacciati con le diverse patologie neuropsichiatriche (Feighner e al., 1972). Questo tipo di classificazione, però, risentiva di contaminazioni ideologiche rapportabili ai diversi archetipi epistemici (psicoanalisi, orientamento biologico ecc.). Inoltre, erano evidenti in tale contestualità interpretativa i condizionamenti di tipo morale, culturale e religioso che conducevano ad una distinzione più culturale che clinica fra normalità e patologia (Spitzer e Klein, 1978).

Disturbo mentale: un’etichetta e molto di più

Contro il costrutto di disturbo mentale, in quanto eticchettamento sociale, a lungo si è espresso il movimento dell’antipsichiatria, che ha avuto i suoi maggiori esponenti in Focault, Basaglia, Cooper e Laing (Telles-Correia e al., 2018). I pilastri ideologici dell’antipsichiatria sono stati quelli di combattere le istituzioni manicomiali, intese come luoghi di segregazione sociale, e il potere medico, satellite di altri poteri (politico, economico ecc.), che ha consentito di delineare i confini culturali fra normalità e patologia (Rose, 2006). In pratica, secondo questo approccio non si può parlare di malattia mentale, quanto piuttosto di devianza dalle norme e dai valori socialmente accettati (Szasz, 1960).

Attualmente il costrutto di disturbo mentale è delineato nel DSM – 5 (2013), ovvero esso è inteso come una sindrome caratterizzata da un significativo disturbo clinico nell’ambito della cognitività, della regolazione delle emozioni o del comportamento, dovuto ad una disfunzionalità nell’ambito dei processi psicologici, biologici o di sviluppo, che sono alla base del funzionamento mentale. Il disturbo mentale è associato ad una significativa sofferenza e inabilità in ambito sociale, lavorativo e in altri importanti settori della vita (DSM – 5, 2013).

Disturbo mentale: una definizione tra normalità e patologia

In ambito psichiatrico il definire che cosa è normale e cosa è patologico è legato a tre fattori:

  • la comprensibilità, ovvero se lo stato mentale o il comportamento sia ascrivibile oppure no ad una caratteristica endemica al contesto culturale del paziente;
  • l’adattamento, ossia se la persona presenta un adattamento o un disadattamento al suo ambiente di vita;
  • la relazione con la sofferenza e l’inabilità, cioè se lo stato mentale presentato dal soggetto è fonte di disagio e di disabilità (Telles-Correia, 2018).

In conclusione, il disturbo mentale si può delineare come una condizione non rapportabile alla cultura di appartenenza dell’individuo, quanto piuttosto alla sua biografia psicosociale e che produce un disadattamento, una notevole sofferenza e una spiccata inabilità.

Fonte: stateofmind.it

https://www.stateofmind.it/2018/05/disturbo-mentale-normalita/