Mai come in questo momento le notizie sono foriere di preoccupazione e stress. Come gestire le emozioni negative e quali sono gli effetti dannosi sulla psiche in tempi di emergenza coronavirus? Lo abbiamo chiesto al Dott. Stefano Blasi, Psicologo Clinico e Docente di Psicologia delle Dipendenze all’Università di Urbino, di cui pubblichiamo di seguito un contributo. Dall’ “ansia segnale” e, quindi, funzionale, all’ “ansia patologica”, che può sfociare invece in attacchi panico e in vari sintomi fisici, dai fattori stressanti più influenti alle strategie per sentirsi meglio, ecco tutti i concetti da tenere a mente. 

Mai come in questo momento le notizie sono foriere di preoccupazione e stress. Come gestire le emozioni negative e quali sono gli effetti dannosi sulla psiche in tempi di emergenza coronavirus? Lo abbiamo chiesto al Dott. Stefano Blasi, Psicologo Clinico e Docente di Psicologia delle Dipendenze all’Università di Urbino, di cui pubblichiamo di seguito un contributo. Dall’ “ansia segnale” e, quindi, funzionale, all’ “ansia patologica”, che può sfociare invece in attacchi panico e in vari sintomi fisici, dai fattori stressanti più influenti alle strategie per sentirsi meglio, ecco tutti i concetti da tenere a mente. 

La differenza tra ansia segnale e ansia patologica 

“Occorre innanzitutto dire che emozioni intense, come l’ansia e la paura, ci accomunano tutti in questo momento storico. In una condizione come questa l’ansia e la paura sono normali. Hanno un valore evoluzionistico, ci servono per sopravvivere, sono emozioni adattive. Sono segnali che attivano le nostre risorse psicologiche e fisiche verso un pericolo reale o immaginato. Ci ricordano di uscire il meno possibile, di usare i presidi e di lavarci le mani per fronteggiare l’emergenza. L’ansia che si attiva di fronte ad un esame o l’ansia prima di un evento importante o di una competizione è chiamata “ansia segnale” ed è funzionale. Quando l’ansia diventa pervasiva e molto intensa, disorganizza le nostre strategie e impatta sulla qualità della nostra vita allora diventa “ansia patologica” e può sfociare in attacchi panico e in vari sintomi fisici. Lo stesso vale per la paura, che per semplificare utilizzeremo, impropriamente, come sinonimo di ansia”. 

All’origine della paura 

“Di fronte a questa pandemia siamo tutti spaventati anche perché la paura di solito è meno intensa quando ci esponiamo volontariamente a qualcosa che temiamo e quindi possiamo dosare o controllare quello stimolo (possiamo prepararci, fuggire, “combattere”, ecc.) o quando possiamo ricorrere ad alcune conoscenze anche parziali di fronte ad un pericolo improvviso, ne conosciamo alcune regole di fronteggiamento. In questo caso non possiamo controllare il pericolo, non riusciamo a vederlo e a capirlo bene, non sappiamo come affrontare questo spettro che circola tra di noi e di cui vediamo però le conseguenze drammatiche in noi, tra i nostri conoscenti o in tv. A seguito di ciò la nostre parte irrazionale si può scatenare (Legrenzi, 2019), rendendoci molto sospettosi degli altri che possono contagiarci e timorosi di avere sintomi o poter trasmettere noi la malattia. Altra questione fondamentale è che in questa fase siamo privati di molte valvole di sfogo quotidiane, attività regolatorie o consolatorie, spesso di natura interpersonale, con cui siamo abituati a gestire le nostre emozioni come uscire, fare passeggiate, fare sport, andare a cena fuori, andare al cinema, incontrare le persone, lavorare, eccetera”.
“Anche le misure di quarantena ci risultano ignote, un coprifuoco che impedisce i contatti che non ha precedenti, neanche durante le guerre mondiali, uno sradicamento dalla possibilità della reciproca e carnale consolazione. Cambiano le nostre coordinate esistenziali, la nostra mappa dell’essere nel mondo, come ci fa notare con straziante lucidità il fenomenologo Di Petta (2020). Cambia la nostra percezione degli spazi, che sono ristretti e vincolati, del tempo che è sospeso e indefinito, del corpo che è per tutti fragile e mortale, di noi stessi di fronte all’essenzialità della nostra esistenza che oscilla tra la negazione onnipotente del problema e la visione paranoica e fobica di scenari apocalittici, degli altri che possono essere untori e salvatori. Sappiamo che nei momenti difficili lo stare stretti fisicamente agli altri è il più potente antidoto all’angoscia. E’ vero che molti di noi, eccetto quelli in prima linea per lavoro o più sfortunati per condizione sociale, sono protetti nelle rispettive case al caldo con le persone care e tutti i generi di prima necessità. Possiamo stare in contatto con gli altri tramite internet ma non possiamo toccarci. Ma l’essere umano è anzitutto un corpo gettato nel mondo, un corpo tra corpi in cerca di risonanze. L’affiliazione agli altri, un abbraccio intenso, una carezza affettuosa sono gesti relazionali fondamentali, una dinamica che la teoria dell’attaccamento (Bowlby, 1988) ci dimostra essere fondamentale tanto quanto nutrirsi di cibo. E questo varrebbe anche per le scimmie, come ci ricorda lo storico esperimento di Harlow (1958) sul contact comfort con i cuccioli di macaco Rhesus, che deprivati della mamma naturale sceglievano preferenzialmente la mamma surrogata di pezza morbida a cui restavano attaccati per mantenere quel contatto caldo, soffice e ripetuto, piuttosto che la mamma surrogata che forniva solo cibo. Anche noi esseri umani abbiamo tutti bisogno di questo contatto, anche se manifestiamo con modalità e intensità diverse questo bisogno in base a quello che le nostre diverse esperienze di attaccamento ci hanno insegnato. Certo questo contatto è mantenuto per chi ha la fortuna di avere familiari in casa, ma le persone sole, sia giovani che anziani, vedono amplificare la loro solitudine. Si può certo ricorrere al telefono o a internet con le videochiamate e questo può aiutare, ma è comunque dura”.

I fattori stressanti più influenti e le strategie per sentirsi meglio

“Dobbiamo anche chiederci quali tracce psicologiche la Covid-19 lascerà nella popolazione e nelle professioni sanitarie esposte in prima linea. Uno studio recente sulla prestigiosa rivista Lancet (Brooks et al., 2020) sulle conseguenze psicologiche dei soggetti in quarantena nelle varie epidemie di Sars, Ebola, H1N1 ed equina ha mostrato che gli effetti psicologici negativi più comuni sono i sintomi da stress post-traumatico, stati di confusione, frustrazione e nervosismo, rabbia, paura, senso di colpa (in particolare nel personale sanitario) e impotenza. I fattori stressanti più influenti durante la quarantena sono la maggiore durata delle misure e lo slittamento inaspettato delle stesse; le informazioni inadeguate (le persone in quarantena devono capire bene la situazione); la paura di infettare sè e gli altri; la frustrazione, la noia e l’isolamento (telefono e internet sono fondamentali); le inadeguate forniture sanitarie, di cibo e di servizi. Quelli dopo la quarantena: le perdite finanziarie (che inducono più ansia e rabbia in chi è meno abbiente e in chi perde entrate durante la quarantena) e la stigmatizzazione subita dagli altri che perdura oltre la quarantena. La ricerca mostra che una storia di sofferenza psichiatrica è associata a maggior disagio psicologico dopo aver sperimentato un qualunque trauma correlato a calamità ed è probabile che le persone con preesistenti condizioni di sofferenza mentale necessitino di maggior sostegno durante e dopo la quarantena”.
“Quindi che fare per poter stare meglio? Il primo livello fondamentale è quello emotivo, cioè condividere le nostre paure, il nostro senso di vulnerabilità con le persone affettivamente rilevanti, non chiuderci e non vergognarci di quello che proviamo. Approfittare di questo momento per coltivare, costruire o ricostruire un tempo dell’ascolto e del dialogo. Darci tempo e dare tempo, per non subirlo. Può essere un’occasione per parlare intimamente con le persone con cui viviamo, che non sempre ascoltiamo veramente o con un amico che non chiamiamo quanto vorremmo. Diamo più tempo al gioco, magari godendoci i figli o i genitori. Poi ci sono tutta una serie di buone regole pratiche da adottare, come ad esempio: non ossessionarci con i notiziari e la tv, cercare di mantenere una routine giornaliera più normale possibile (orari dei pasti e del sonno), chi ne ha la possibilità stare al sole e all’aria aperta, fare un minimo di attività fisica, approfittare del tempo libero per coltivare le nostre passioni, per leggere, ascoltare musica, guardare film o svolgere lavori in casa che abbiamo tralasciato o che ci rilassano. Se sentiamo emozioni troppo difficili da regolare è importante sapere che è possibile ricevere un supporto psicologico dai tanti professionisti che operano tramite videochiamate su Skype o WhatsApp”.

Fonte: today.it

https://amp.today.it/attualita/come-gestire-emozioni-negative-coronavirus.html