La recente pandemia ha fatto emergere un rilevante disagio psichico nella popolazione mostrando la difficoltà delle strutture pubbliche a farvi fronte. Questo per certi versi è avvenuto in tutto il mondo a tal punto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha affermato che la tutela della salute mentale è oggi uno dei bisogni prioritari. Questo trauma collettivo ha fatto emergere nuove patologie che alcuni hanno definito ‘stress da pandemia’ e si è manifestato in vari modi . Alcuni hanno lamentato la sindrome della cuccia a causa della paura di lasciare la sicurezza della casa protettiva e altri hanno parlato di “ansia da limbo” a causa del distacco della realtà che il lockdown ha determinato ,insieme con uno stato emotivo continuo di imprevedibilità , incertezza e confusione. Patologie già esistenti si sono aggravate come la violenza e l’aggressività intra familiare in particolare contro le donne. La Società Italiana di Psichiatria e il suo Presidente professor Di Giannantonio valuta questi disturbi in termini di 300.000 nuovi casi che si aggiungono agli oltre 900000 già presenti per le richieste ordinarie.

Il problema serio di questo tipo di traumi è che in realtà essi non si esauriscono nel presente, ma possono influenzare la vita futura delle persone e perfino le generazioni successive, nella trasmissione transgenerazionale del trauma, come dicono attualmente le ricerche neuro scientifiche e come abbiamo già osservato dopo la shoah o dopo le guerre.

Abbiamo perciò un quadro molto allarmante davanti a noi, non solo nel momento presente, ma anche nel prossimo futuro.

Come fare fronte a tutte queste difficoltà? L’assenza di interventi oculati di risposta al bisogno può determinare enormi problematiche come il rischio per il singolo di cronicizzazione del disagio nel futuro con la possibilità che si apra una vera e propria carriera psichiatrica per persone che, se fossero state sorrette al momento giusto, avrebbero ripreso la loro vita e il loro lavoro.

Fin da questo momento osserviamo con preoccupazione l’eccessivo uso degli psicofarmaci in un prodursi di una medicalizzazione del problema e di dipendenze pericolose che il Piano Nazionale di Prevenzione 2020-2025 indica come focus prioritario di intervento.

Nel corso dell’emergenza Covid la Società Psicoanalitica Italiana e altre associazioni scientifiche e tecnico scientifiche riconosciute dal decreto Gelli, hanno messo a punto un “Ascolto del bisogno” fatto di 4 interventi, grazie all’utilizzo di 2000 volontari. Si sono così effettuate migliaia di consulenze gratuite al fine di affiancare le istituzioni che erano al collasso.

Questo lavoro è stato effettuato da psicologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili che avevano tutti una formazione specifica in psicoterapia, individuale e gruppale, di famiglia, di coppia e/o per l’età evolutiva, con un orientamento psicoanalitico, psicodinamico, cognitivo comportamentale, sistemico relazionale. La formazione di questi operatori ha consentito un ascolto specifico capace di focalizzare il problema, di operare una prima accurata diagnosi, ma anche di modulare l’urgenza e contenere l’angoscia. Persone al limite del suicidio si sono fermate a riflettere, genitori disperati alle prese con bambini spaventati sono stati guidati e sostenuti, donne maltrattate hanno cominciato a pensare di potersi difendere etc. etc.

Naturalmente questi psicoterapeuti, finita la prima ondata, si sono astenuti dal continuare dato che molti hanno capito che un lavoro prestato con generosità e abnegazione in un momento di urgenza per la popolazione non può essere condotto per troppo tempo per evitare che diventi un tamponamento del bisogno e la sostituzione di un’offerta privata che non può colmare il vuoto e l’assenza del pubblico intervento.

Che cosa abbiamo imparato da questa esperienza? E’ ovvio che la sanità, così come è stata ridimensionata negli ultimi 10 anni circa, non è adeguata per le esigenze di una popolazione crescente soprattutto di fronte al pericolo di possibili successive pandemie. Dovremmo allo stesso modo riflettere sull’emergenza psichica. Nelle terapie intensive o nei reparti di malattie infettive non sono utilizzabili i medici generici. Forse anche per certi disturbi psicologici non basta l’ascolto generico degli operatori che non abbiano una specializzazione nel campo.

Molti sono i campi dove si dovrebbe intervenire con un punto di vista psicoterapeutico a partire dalla prevenzione del disagio e della sua cronicizzazione.

Con i bambini e gli adolescenti, potrà essere un lavoro sui genitori tenendo a mente un punto di vista evolutivo, in modo da anticipare il formarsi di un problema nel futuro adulto. Allo stesso modo, oltre al crearsi di strutture adeguate per i servizi di psicoterapia nei servizi, negli ospedali, occorrerebbe potenziare la formazione permanente degli operatori dei servizi pubblici con continui aggiornamenti dato che al pari della medicina anche la psicoterapia, la neuropsicologia , l’Infant- research sono in continuo aggiornamento.

Il lavoro sul disagio mentale deve produrre efficacia duratura nel tempo. Altrimenti il ripresentarsi di problemi, che si sono solo apparentemente risolti oggi, diventa un immane dispendio economico per l’economia di uno Stato sano. Non è utile perciò la semplice sparizione momentanea del sintomo. I parametri di efficacia nel campo del disagio psicologico non possono essere costruiti al pari di quelli in uso nella medicina generale o nella chirurgia come ad esempio estirpare la parte di organo malato. Sul piano psicologico bisogna guardare alla totalità della persona e permetterle di essere padrona di se stessa, libera dai conflitti e dalle angosce e soprattutto essere capace di riprendere il proprio cammino interrotto. Per fare questo è necessario un professionista che abbia una capacità di ascolto e intervento profondo guardando all’intera personalità.

Purtroppo la psicoterapia a volte sembra la terra di nessuno. La maggior parte delle persone ignora la necessità di un lungo training per formare sul piano personale, emotivo e tecnico uno psicoterapeuta da qualunque scuola provenga.

Alcuni si chiedono se una seduta psicoanalitica possa essere confusa con una consultazione filosofica o con una chiacchierata amichevole. Sfugge la complessità che si cela dietro ad una semplice consultazione, che è al contempo diagnostica, valutativa , e si può rivelare anche l’inizio di una trasformazione terapeutica. Per ottenere questo occorre un’articolata formazione pluriennale.

In questi anni le scuole e le associazioni di psicoterapia si sono molto sviluppate al difuori delle università, anche se sono riconosciute dal Ministero della Ricerca, perché la formazione di uno psicoterapeuta è specifica, personalizzata, creata su misura ed inevitabilmente limitata nel numero delle persone. In questa situazione di grave bisogno forse si potrebbe pensare all’utilizzazione delle forze esistenti , per l’aggiornamento degli operatori, e questo potrebbe nascere dall’accreditamento delle associazioni di psicoterapia, per altro riconosciute come scuole di formazione dal Miur ( Ministero della Università e della Ricerca ) e che spesso hanno delle potenzialità di intervento rilevanti e i cui centri clinici potrebbero essere utilizzati a basso costo, a prezzi politici ,in accordo con le strutture pubbliche. Questo garantirebbe le prestazioni fatte da professionisti che hanno una lunga formazione, certificata già dal Ministero, senza lasciare questo campo delicatissimo come terra di nessuno, all’arrembaggio di chiunque si autonomini esperto.

Fonte: huffingtonpost.it

https://www.huffingtonpost.it/entry/che-posto-ha-la-psicoterapia-nei-progetti-governativi-per-la-salute-mentale_it_5fe1e77fc5b6e1ce8335e88f?utm_hp_ref=it-coronavirus-italia