Che si tratti di un disturbo schizofrenico, di personalità o grave depressione, quando la sofferenza mentale irrompe in famiglia sconvolge la vita di chi ne è colpito e dei suoi cari, che spesso si trovano ad affrontare da soli il dramma quotidiano di «gestire» la fragilità del congiunto bisognoso di assistenza psichiatrica. Come se non bastasse, ci sono i pregiudizi legati all’inguaribilità delle malattie mentali che sono invece vere e proprie patologie e vanno curate da professionisti. E poi lo stigma sociale, che ancora esiste verso persone marchiate come «matte» e «pericolose», emargina e discrimina, sia chi ne soffre sia i loro familiari. «La situazione in famiglia è insostenibile», raccontano i cittadini che si rivolgono al PiT Salute (Progetto integrato di Tutela) del Tribunale dei diritti del malato-Cittadinanzattiva.

Il senso di abbandono è tra i disagi più segnalati nell’ambito della salute mentale, quasi sempre insieme ad altri, come ricoveri in strutture non adeguate, difficoltà di accesso alle cure pubbliche. «In un’area così delicata, come la salute mentale, è particolarmente sentito il senso di abbandono della persona affetta dal disturbo e della sua famiglia», sottolinea Salvatore Zuccarello di Cittadinanzattiva. «I familiari lamentano di essere lasciati soli a occuparsi del loro congiunto. Ed è ancora più complicato gestire la situazione se la persona non vuole farsi curare e non si riesce a convincerla, né le può essere imposto».

Ma a chi rivolgersi se si ha bisogno di aiuto per se stessi o i propri cari? L’assistenza per la salute mentale rientra nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè le prestazioni che devono essere garantite a tutti i cittadini, gratuitamente o pagando il ticket se dovuto, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. È organizzata in Dipartimenti di salute mentale (Dsm), un insieme di strutture e di servizi pubblici integrati, territoriali e ospedalieri, che hanno il compito di occuparsi della prevenzione, cura e riabilitazione del disagio psichico e dei disturbi mentali, nell’ambito del territorio definito dall’Asl.

I Dsm comprendono: i Centri di salute mentale (Csm), che sono il primo riferimento sul territorio per le persone con disagio psichico e i loro familiari ed effettuano, tra l’altro, colloqui psicologici, trattamenti psichiatrici, psicoterapie, visite a domicilio; i Centri diurni, con funzioni terapeutico-riabilitative anche ai fini dell’inserimento lavorativo; strutture residenziali extra-ospedaliere (Comunità, gruppi appartamento), in cui si svolge una parte del programma terapeutico-riabilitativo e socio-riabilitativo per le persone con disagio psichiatrico; Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc) dove si effettuano cure psichiatriche in regime di ricovero e anche, in casi estremi, il Trattamento sanitario obbligatorio (Tso, disposto con provvedimento del sindaco) quando il paziente necessita di cure urgenti dal momento che è in corso uno scompenso acuto rispetto alla malattia mentale di cui soffre, le cure non possono essere fatte a domicilio e il paziente rifiuta le cure stesse.

Il primo passo, quindi, è contattare il Centro di salute mentale, su indicazione del medico di famiglia o direttamente, per chiedere un primo consulto. Vi fa capo un’equipe di professionisti, quali psichiatra, psicologo, assistente sociale, infermiere. Il Centro, che effettua interventi ambulatoriali e/o domiciliari, è attivo per 12 ore al giorno 6 giorni a settimana, almeno in teoria (è l’orario previsto dal «Progetto obiettivo per la tutela della salute mentale 1998-2000»). Ma cosa fare se la persona rifiuta di curarsi? «Spesso il primo scoglio da superare è rendere la persona consapevole di avere un disturbo, e quindi far sì che accetti di farsi aiutare» spiega Enrico Zanalda, presidente della Società italiana di psichiatria (Sip) e direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Asl Torino 3.

«Per esempio, nella maggior parte dei disturbi psicotici manca al soggetto la capacità di comprendere il proprio disturbo, quindi si percepisce non come malato: sono gli altri (parenti, vicini) ad avercela con lui. I familiari, però, non devono rassegnarsi – esorta Zanalda -, ma rivolgersi al Centro di salute mentale che ha gli strumenti e un team di professionisti per mettere in campo, in base alla malattia, un progetto terapeutico con un insieme di interventi, a cominciare da quello psico-educazionale per rendere consapevoli paziente e familiari della malattia e di cosa comporta e, quindi, iniziare (e poi continuare) il percorso di cura. Un supporto alle famiglie può essere dato anche dalle associazioni di familiari con esperienza di disagio psichico in casa».

Le cure sono efficaci? «Oggi, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione – trattamenti psicoterapeutici, farmacologici, riabilitativi per l’inserimento sociale e lavorativo – la malattia mentale può essere sconfitta, o comunque è possibile portare la persona al miglior funzionamento personale e sociale possibile» sottolinea il presidente della Sip. «Lo psichiatra, però, deve poter intervenire precocemente e in maniera efficace all’esordio delle patologie psichiche, quando l’intervento ha le maggiori probabilità di esito favorevole; nei soggetti in trattamento da molti anni, che non mostrano più possibilità di evoluzione positiva della malattia, il percorso dovrebbe essere assistenziale. Purtroppo nella quotidianità, a fronte di un aumento delle persone con disturbi mentali, si registrano gravi difficoltà nei Dsm per la mancanza di personale, che è la risorsa più importante nella salute mentale». Sono carenti soprattutto psichiatri, psicologi e infermieri e, secondo il rapporto del ministero della Salute, nel 2017 i professionisti all’interno dei servizi pubblici sono ulteriormente diminuiti rispetto al 2016: circa tremila in meno. «Occorre colmare al più presto il divario tra bisogno e offerta di cure con maggiori investimenti per poter garantire a chi ne ha bisogno migliori percorsi di prevenzione, cura e riabilitazione» conclude Zanalda.

Alla ricerca della «normalità»: vivere in una casa all’interno di un condominio, fare la spesa e cucinare, prendere l’autobus, incontrare gli amici. La guarigione di una persona con disagio psichico passa anche attraverso l’inclusione nei luoghi di vita. «L’housing nella salute mentale è uno degli aspetti fondamentali della riabilitazione: non significa solo casa ma soprattutto rapporto con l’ambiente, sistema di relazioni e diritti, avere l’opportunità di socializzare e sentirsi inseriti nel contesto sociale» spiega Massimo Cozza, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Asl Roma 2. L’azienda sanitaria ha promosso con altri partner europei il progetto HERO (Housing, an educational European ROad to civil rights; www.housing-project.eu), finanziato dal programma Erasmus dell’Unione europea……….

Fonte: corriere.it/salute

https://www.corriere.it/salute/depressione/cards/che-cosa-bisogna-fare-quando-disagio-mentale-colpisce-familiare/situazione-insostenibile_principale.shtml