I derivati della cannabis, in base ai dati forniti dai principali organismi internazionali operanti nell’ambito del contrasto alla diffusione delle sostanze stupefacenti, costituiscono la prima droga d’abuso in Europa: 40 milioni di individui l’hanno utilizzata e in media, una persona su quattro, di età compresa tra i 15 ed i 34 anni l’ha provata (Schiavone,2002).

Nella Relazione europea sulla droga del 2018, pubblicata lo scorso 7 giugno dall’Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (EMCDDA), viene riportato che l’Italia è il terzo paese dell’Unione Europea per uso di cannabis. I dati raccolti si riferiscono agli anni 2016-17, ed è stato stimato che la cannabis sia stata consumata da circa 24 milioni di persone con età compresa tra i 15 e i 64 anni, di cui 17,2 milioni con età compresa tra i 15 e i 34 anni.

Secondo dati provenienti da indagini condotte sulla popolazione, in media il 31,6% dei giovani adulti europei (15-34 anni) ha utilizzato la cannabis almeno una volta nella vita, mentre il 12,6% ne ha fatto uso nell’ultimo anno e il 6,9% nell’ultimo mese. Una percentuale ancora più alta di europei appartenenti alla fascia dei 15–24 anni ha utilizzato la cannabis nell’ultimo anno (15,9%) o nell’ultimo mese (8,4%) (Osservatorio Europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, 2010).

I dati sul consumo di cannabis potrebbero cambiare ulteriormente se si tiene conto del boom di aperture dei grow shop, le attività commerciali dove si può vendere la cannabis legale.

Nel dettaglio la legge italiana vieta la vendita a scopi ricreativi di cannabis con un principio attivo di THC superiore allo 0,6%, poiché questa provoca degli effetti stupefacenti; è del tutto legittima invece la vendita dei prodotti derivati dalla canapa con un THC notevolmente inferiore alla suddetta soglia (Micocci, 2018).

Oggi si contano più di 600 punti vendita in tutta Italia, alcuni dei quali aperti giorno e notte (Scavo, 2018).

Cannabis: comorbilità con disturbi psichiatrici

Ma quanti conoscono le reali conseguenze del consumo assiduo e reiterato di questa sostanza? Esiste un legame tra l’utilizzo di cannabis e i diversi disturbi psichiatrici?

La comorbilità, o doppia diagnosi, è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come la coesistenza nel medesimo individuo di un disturbo dovuto al consumo di sostanze psicoattive e di un altro disturbo psichiatrico.

Il consumo di cannabis si è dimostrato essere associato ad un aumentato rischio di disturbi mentali. Gli effetti collaterali del consumo di cannabis dipendono dalla modalità di somministrazione, dalla dose ricevuta, dal tempo di utilizzo, dalle aspettative del consumatore e dalla sua personalità. Il rischio di insorgenza di disturbi psichiatrici è molto alto: nei soggetti vulnerabili, comprese le persone che hanno usato cannabis durante l’adolescenza, nei soggetti che in precedenza avevano sperimentato sintomi psicotici e in quelli ad alto rischio genetico di disturbi psichiatrici (Iacucci, 2014).

L’assunzione di cannabis induce la comparsa di effetti psicoattivi che, generalmente, includono anche sensazioni piacevoli: calma, rilassatezza, euforia e emozioni amplificate. Tuttavia, alcuni soggetti possono sperimentare reazioni ben più spiacevoli: dispercezioni, distorsione temporale, depressione, paranoia, depersonalizzazione, derealizzazione, ansia o attacchi di panico, sensazione di perdita del controllo e paura di morire, che, seppur spesso transitorie, nei consumatori abituali possono persistere e ricorrere nel tempo (D’Souza et al, 2009; Thomas, 1993). Può indurre, inoltre, anche in soggetti sani, sintomi psicotici positivi e negativi, nonché deficit cognitivi analoghi a quelli della schizofrenia. Tali sintomi, in genere temporanei, possono comportare in individui vulnerabili successive, severe manifestazioni psichiche correlate alle sostanze (D’Souza et al, 2009).

Cannabis e insorgenza di psicosi

Ci sono due ipotesi che possono spiegare l’insorgenza di psicosi legato al consumo di cannabis. La prima sostiene che lo stato psicotico può verificarsi sia come risultato di uno specifico effetto farmacologico della sostanza, che come il risultato di esperienze stressanti vissute durante l’intossicazione da cannabis.

La seconda ipotesi è che l’uso della stessa possa generare schizofrenia, o aggravarne i sintomi, in un individuo vulnerabile o predisposto. In particolare l’uso regolare e continuativo sembrerebbe quadruplicare il rischio di sviluppare un Disturbo Schizofrenico (Hautecouverture et al., 2006).

Alcuni studi, che hanno esaminato gli effetti del consumo di cannabis negli adolescenti, hanno rilevato una forte correlazione tra l’uso della sostanza e l‘insorgenza di molti disturbi psichiatrici, come: psicosi da cannabis, depressione e attacchi di panico. Si è rilevato, inoltre, un alto rischio di insorgenza di ideazione suicidaria e di tentativi di suicidio (Iacucci, 2014).

In uno studio longitudinale, condotto in Svezia, su 50.465 maschi svedesi, il follow up condotto dopo 15 anni, ha rilevato che coloro che avevano cominciato a consumare cannabis a 18 anni avevano una probabilità due volte e mezzo maggiore, rispetto ai non consumatori, di ricevere una diagnosi di schizofrenia (Andreasson et al., 1987).

Concludendo, gli studi revisionati hanno dimostrato che gli effetti della cannabis a lungo termine sono spesso sottovalutati e che la maggior parte dei consumatori non conosce i pericoli che un uso/abuso reiterato può causare.

Cannabis: il confine tra benefici e danni

Nel 1961 la Cannabis è stata etichettata come molto pericolosa, ma ora alcuni Paesi la stanno rivalutando, alla luce anche delle nuove scoperte farmacologiche fatte negli ultimi decenni, che hanno portato una nuova ondata di interesse sulle proprietà strutturali e fisiologiche della sostanza, interesse che è aumentato anche a seguito della pubblicazione di numerosi studi sui benefici della cannabis (Campbell, et all.,2001; Lynch e Campbell, 2011), indicandola come un agente terapeutico promettente.

L’aumento dell’evidenza clinica della CTP (cannabis a scopo terapeutico) è stato accompagnato in molti Paesi da un aumento delle pressioni sociali e politiche per cambiare i quadri normativi e legalizzarne quindi l’uso medico. Dal 2013, in Italia è possibile prescrivere cannabis terapeutica (sempre a pagamento). La prescrizione a carico del Servizio Sanitario Nazionale, unicamente per uso terapeutico, è praticabile solo in Toscana, Puglia, Liguria, Campania e in Veneto, ma con limitazioni ulteriori rispetto alle regole nazionali. La prescrizione di cannabis a uso medico in Italia riguarda: il dolore cronico e quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale; la nausea e il vomito causati da chemioterapia, radioterapia, terapie per Hiv; la stimolazione dell’appetito nella cachessia, anoressia o in pazienti oncologici o affetti da Aids e nell’anoressia nervosa; l’effetto ipotensivo nel glaucoma; la riduzione dei movimenti involontari del corpo e facciali nella Sindrome di Tourette.

Le prescrizioni si effettuano quando le terapie convenzionali o standard sono inefficaci. Tuttavia, le evidenze scientifiche sui benefici, i dosaggi, le modalità di allestimento, la stabilità del preparato somministrato sono solo alcuni dei dubbi che ancora restano sul corretto utilizzo della cannabis a scopi medici: sono necessari nuovi e più approfonditi studi sulla questione.

Fonte: positanonews.it

https://www.positanonews.it/2019/02/cannabis-consumo-aumento-lo-dicono-numeri-quali-le-conseguenze-sulla-salute-mentale/3293738/