Dal 2012 Art UP permette al pubblico di interrogarsi su tutto ciò attraverso l’esperienza “diretta” in vari musei di Milano. dal team di Art Up, composto da Facilitatori Arte-Salute, psicoanalisti e storici dell’arte, attraverso un metodo sviluppato in otto di lavoro sul campo per unire arte e benessere mentale.

Chi sono i Facilitatori Arte-Salute? «I Facilitatori Arte-Salute sono persone attraversate da disagio psichico che hanno seguito i corsi di formazione di Art UP. Attraverso la passione per l’arte e il desiderio di studiare, il loro lavoro è accompagnare il pubblico per musei, mostre e luoghi storici della città, coniugando in modo competente la spiegazione dell’arte con riflessioni sugli stati affettivi, le emozioni e la psiche umana»

Nell’intervista che potete trovare qui sotto il team di Art UP risponde alle nostra domande sui pregiudizi, sulla salute mentale e come l’arte sia una via per creare nuove opportunità, per tutti.

Perché la malattia mentale, e forse oggi più in generale si potrebbe dire la diversità, fanno paura?

Francesco Marrone, psicoanalista: «La paura è una delle nostre emozioni primarie e ci permette al cospetto di un presunto pericolo di identificarlo e di attivare una difesa, preparando una reazione di attacco o di fuga da situazioni specifiche e dal diverso da sé. Spesso dietro la paura si nasconde piuttosto un’emozione vaga e priva di un oggetto definibile: l’angoscia. La malattia mentale e ogni diversità ci pongono al confronto con la nostra limitatezza di comprensione, generando angoscia e disorientamento; non riuscendo ad afferrare la natura del pericolo ci sentiamo come estranei in casa nostra.
L’angoscia più profonda è proprio per lo sconosciuto di cui la malattia mentale è una forma, specie in una fase storica in cui è il nostro Ego, che presumiamo sempre ben funzionante, a dominare rigidamente la scena. Dialogare con l’arte ci permette invece di mettere in contatto il conosciuto con lo sconosciuto, generando una cura per angoscia e pregiudizio».

Come nasce e come si supera il pregiudizio?

Alessandra Gatti, psicoanalista: «Nonostante la sofferenza psichica sia un’esperienza molto comune, il disagio mentale nella nostra società rappresenta ancora un grande tabù. Proprio per questo chi ne soffre, oltre alle numerose difficoltà che deve affrontare su un piano personale ed emotivo, vive anche intensi vissuti di vergogna che lo portano a nascondersi e isolarsi.
La paura della diversità e dell’altro portano dunque al cosiddetto “stigma”, che tende a creare un’immagine svalutante di chi soffre di una malattia mentale. Per superare il pregiudizio è fondamentale contribuire alla diffusione delle conoscenze in merito al disagio mentale e al riconoscimento delle risorse che un individuo sofferente può recuperare dentro di sé, così come è accaduto ai Facilitatori Arte-Salute di Art UP grazie all’incontro con l’arte».

Francesco, che cosa è per te il pregiudizio?

Francesco Fregapane, Facilitatore Arte-Salute: «Il pregiudizio è qualcosa che ci impedisce di valutare bene una situazione perché siamo prevenuti rispetto a quella. Tutti abbiamo pregiudizi, me compreso. Ma questi ci impediscono di dare delle valutazioni chiare, di avere uno sguardo sereno sulla realtà.

Penso però che non si debba giudicare prima di conoscere: ci vuole conoscenza prima di poter affermare la propria opinione rispetto a qualcosa, non si può avere in tasca la risposta preconfezionata. Posso parlare della mia esperienza: anch’io sono stato vittima dei pregiudizi altrui, anche dei miei stessi familiari rispetto al mio lavoro di artista e l’ho vissuta come un’invasione. Poi ci sono i pregiudizi su tante categorie di persone, dovute a un uso improprio del linguaggio: “i matti andrebbero tutti ricoverati al manicomio”».

Quale atteggiamento serve per creare reale inclusione, intesa in senso profondo, non solo di facciata?

Marina Panaro, psicoanalista: «La tematica dell’inclusione rappresenta uno degli elementi fondanti di Art UP. Se nella nostra società tendono a prevalere individualismo e omologazione, alimentati dal timore della diversità e dal pregiudizio, un atteggiamento inclusivo si fonda sull’accettazione e la valorizzazione delle differenze e della soggettività individuale. Nelle attività che proponiamo ai nostri fruitori, l’incontro con l’opera d’arte, che è unica così come l’unicità di ogni individuo, permette di dar vita a un flusso sempre differente di stati emotivi che circolano tra i partecipanti, dando accesso a nuove forme di conoscenza di sé.
I Facilitatori Arte-Salute di Art UP, soggetti attraversati da disagio psichico, offrono all’interno di questa esperienza un contributo fondante, che veicola la possibilità di reinserirsi in maniera viva e autentica nel tessuto sociale, condividendo la loro sensibilità e competenza».

Alberto, in passato hai raccontato che quando si manifesta il disturbo mentale la persona più spaventata è il malato stesso e che a volte i pensieri giudicanti impediscono alle persone di uscire da situazioni di difficoltà e le riportano sempre al punto zero: che cosa è il disturbo mentale per chi lo vive? Che cosa è per te lo stigma e come hai fatto a superarlo?

Alberto Gianni, Facilitatore Arte-Salute: «Quando si vive nell’insicurezza anche i gesti più semplici che si compiono quotidianamente con spregiudicatezza diventano motivo di perplessità. La persona fa fatica a “fare”, anche semplicemente la spesa o cucinare. Le paure diventano forti, insormontabili. Nonostante la cura, spesso questa situazione diventa patologica, come delle ragnatele sul muro che nessuno toglie.
Per uscire da questo pregiudizio, da questo stigma autoimposto – che non è ancora quello che incontri al di fuori di te -, una possibilità concreta è: fare le cose. Dare a se stessi il rispetto per se stessi. Per uscire dallo stigma, per risocializzare, per rientrare in contatto con la società “normale” – che poi la normalità non esiste quando si parla di persone – è importante fare le cose, perché così si ritrova una meccanica e una dinamica di vita dove si può tornare a essere produttivi, nel senso di sentire le responsabilità così come le sentono gli altri. Così si vincono il pregiudizio e lo stigma».

Anton Giulio, ci puoi dire quali situazioni sociali possono aiutare di più una persona a ritrovare il contatto con la società, quelle che senti più utili e desiderabili?

Anton Giulio Messina, Faciltatore Arte-Salute: «Posso parlare del mio caso. Ho iniziato passo passo quando al mio CPS svolgevo il compito di bibliotecario. Qui interagivo con le persone che volevano leggere un libro, qualche volta ho avuto bisogno di contattarle al telefono. Così un po’ alla volta ho imparato ad aprirmi. Era un contatto limitato, ma riuscivo a comunicare. Un’altra esperienza: lavoravo con gli impiegati, interagivo con loro anche se all’inizio ero un po’ chiuso.
È stato un percorso lento.
E poi è stata la grande svolta con Art UP. Inizialmente ero titubante, perché l’arte contemporanea non mi interessava, invece ho imparato un nuovo modo di rapportarmi all’opera d’arte e agli altri: parlare delle emozioni che l’arte suscita, anche se inizialmente non la si comprende, e condividerle in un gruppo. L’arte ha questa capacità di farci riflettere, di emozionarci a volte anche negativamente. Ma quello che proviamo è sempre importante».

Perché l’arte è un ambito che permette di lavorare su questi temi?

Giulia Bombelli, storica dell’arte: «Ogni opera d’arte è un nodo nel quale si intrecciano diverse intenzionalità, apparentemente difficili da descrivere a parole per la loro complessità stratificata. Nell’esperienza con Art UP proviamo, da diversi anni, a parlare d’arte costruendo un dialogo, che ogni volta diventa unico e irripetibile, tra se stessi, le altre persone e le competenze storico-artistiche.

Utilizzando il background di conoscenze sull’artista, la tecnica, la letteratura artistica e il periodo storico si arriva, nel momento dell’osservazione dell’opera condivisa con gli altri, alla possibilità di lasciarsi andare, in uno spazio sicuro, a una libertà sospesa dove possono affiorare con sensibilità e coraggio le parole che hanno la freschezza dell’intuizione e la profondità della riflessione.

Questa possibilità di confrontarsi in modo pertinente all’opera esplorando dimensioni di sé e accogliendo il pensiero degli altri per articolare un dialogo è possibile anche, e ancora di più, con opere d’arte contemporanea: l’apparente facilità, la provocazione, il fastidio che l’opera chiama a interrogare diventano la possibilità di incontrare il nuovo, di sostare in emozioni non rassicuranti, di conoscersi sotto una nuova luce».

Uno degli aspetti portanti del percorso di Art UP è offrire agli utenti strumenti per nuove possibilità di integrarsi nella società attraverso il lavoro e l’autoimprenditorialità. Potete parlarci di questo aspetto?

L’equipe di Art UP: «Il lavoro è sempre stato uno degli obiettivi principali che hanno mosso Art UP, con due sfumature: nel senso di lavoro come creazione di occasioni specifiche di incontro con i cittadini per dare finalità alle energie impiegate e rendere sostenibile l’Associazione. E poi nel senso più profondo di autoimprenditorialità come valorizzazione di sé a partire da desideri che per diverso tempo erano rimasti inascoltati, in un percorso continuamente formativo in dialogo tra diverse professionalità e in una rete di aiuto reciproco per acquisire competenze spendibili in diversi contesti, per ognuno diverse e rispettose dei propri tempi e ritmi. Questi due aspetti sono intrecciati ed emergono con naturalezza nel momento dell’incontro con i cittadini: l’esempio, attraverso l’uso delle capacità sviluppate, è lo strumento più forte per l’integrazione e il superamento del pregiudizio».

Fonte: exibart.com