Le malattie mentali fanno i conti con una discriminazione e dei pregiudizi che non sussistono per altri tipi di malattie. Questo fatto rende ancor più difficile la cura e la riabilitazione delle persone affette da questi disturbi, che vengono spesso discriminate. Con l’obiettivo di contrastare queste difficoltà nel 1999 è nata a Milano l’associazione “Progetto Itaca Onlus”, composta da volontari per l’attivazione di iniziative e progetti di informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione. Nel 2012 è nata anche la Fondazione Progetto Itaca Onlus che oggi può contare su 11 sedi su tutto il territorio italiano. Ora la Fondazione è interessata ad aprire una propria sede anche a Torino per continuare la sua opera anche nel capoluogo piemontese.

Ughetta Radice Fossati, segretario generale della Fondazione: “L’obiettivo della nostra associazione non è occuparsi della cura della malattia mentale che essendo un disturbo biologico va curato da professionisti, medici psichiatri con i farmaci, il nostro obiettivo è culturale: da un lato ci occupiamo di formazione e prevenzione per cambiare la testa delle persone e combattere il pregiudizio e la vergogna a causa dei quali molte persone o non si curano o non si curano bene o lo fanno con ritardo. Dall’altro lato ci occupiamo di riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo di chi frequenta la nostra associazione. Se ci si ammala intorno ai 20 anni, infatti,  quando si arriva a 25-30 anche se si è stati ben curati è comunque molto difficile riprendere una buona qualità di vita da solo o con il solo l’aiuto della famiglia”

Progetto Itaca si concentra inoltre sull’ inserimento sociale e lavorativo delle persone che soffrono di disturbi psichiatrici, aspetto questo che più volte è stato sottolineato come tanto difficoltoso quanto efficace per la riabilitazione delle persone affette da malattie mentali. Al riguardo sempre Fossati dice: “Il nostro metodo si rifà all’americano Clubhouse International e si basa su un principio fondamentale la persona malata  non è considerata paziente o utente di un servizio ma socio di una comunità in cui porta non i suoi problemi ma le sue risorse. I soci, quindi, partecipano a tutte attività del club e dell’associazione e ne aiutano il funzionamento e lo sviluppo, occupandosi di accoglienza, segreteria, contabilità.  Fino a che  lavorano nel club i soci/pazienti non sono pagati ma poiché l’obiettivo è portarli  a raggiungere stabilità e affidabilità compatibili a stare nel mondo del lavoro, vengono aiutati a stendere il curriculum, affrontare un colloquio di lavoro e quando vengono ritenuti pronti si avviano contatti con aziende esterne per un  inserimento lavorativo graduale. Dal 2012, poi, abbiamo avviato il modello ‘job stations’  studiato con fondazione italiana Accenture, che prevede il lavoro a distanza. Capita, infatti, che nonostante i soci siano abituati a svolgere una determinata attività nel club, trovandosi in un contesto lavorativo più competitivo, a contatto con i colleghi, vadano in ansia e abbiamo ricadute. Per questo, pur essendo  già assunti dall’azienda continuano a lavorare nel club,  in una stanza dedicata, seguiti da un tutor e questo rassicura tanto l’azienda quanto il  socio che si sente più protetto.  Per quanto riguarda Torino siamo pronti ad avviare progetti di formazione e informazione, alcuni dei quali partiranno dopo l’estate, ma ancora stiamo cercando una sede idonea per il Club Itaca e i relativi finanziamenti per coprire le spese di funzionamento, per questo stiamo cercando soci fondatori”. E poi conclude “Al momento abbiamo 11 associazioni  che funzionano e siamo quindi fiduciosi che presto si possa trovare una soluzione anche per il capoluogo piemontese”.