Sono riprese, dopo la pausa estiva, le attività culturali della Fondazione Emilia Bosis. L’occasione è stato il convegno, organizzato venerdì presso il Bergamo Science Center, dal titolo volutamente provocatorio “Le bugie della Psichiatria – Come sopravvivere alla follia del mondo contemporaneo”.

Lo spunto è stato il personaggio di Pinocchio che la Fondazione Bosis si è prefissata di indagare, conoscere e comunque mantenere centrale nelle sue iniziative culturali per questo fine anno e per il 2018.

Un incontro con un forte accento culturale che ha visto il direttore sanitario della Fondazione Bosis, dott. Carlo Saffioti, moderare interventi la cui natura ha certamente riguardato la psichiatria come quello di Graziano Valent e Maria Rosa Tinti, che hanno dato una lettura severa del mondo psichiatrico di cui hanno fatto attivamente parte e che ancora frequentano. La critica ha riguardato soprattutto quella che i due relatori hanno definito l’attitudine impositiva degli psichiatri che si consuma spesso dentro schemi scientifici autoreferenziali. Valent invita peraltro, come possibile mitigazione, a valutare positivamente e promuovere le forme esperienziali del rapporto umano che si sviluppano nelle comunità per la cura della sofferenza psichica dentro percorsi culturali, formativi, educativi partecipati anche dalla comunità delle persone cosiddette normali.

Alessandro Garzella ancora una volta ha scandagliato il rapporto tra esperienza culturale e teatrale, la sensibilità e la follia quotidiana di noi tutti e la realtà delle persone che con la sofferenza psichiatrica convivono. Una relazione solo all’apparenza antagonistica, nella realtà la follia può essere l’estrema rappresentazione dell’atto teatrale.

Pinocchio non era un bugiardo, forse Collodi lo era, ci ha detto Eugenio Dario Lai, studioso del burattino, che trova nel testo di Collodi solo 4 allungamenti di naso, dovuti non tanto a menzogne, ma a giustificazioni, tutt’al più a delle scuse. La società, le convenzioni, il conformismo, gli interessi manipolativi culturali e non solo, ci hanno “imposto” un pinocchio menzognero, ma questa è la vera bugia.

Glenda Piona si presenta come una bionda riccioluta e mingherlina ragazza. Mica vero, è una lottatrice fin dall’età di 4 anni. Ci ha raccontato la sua storia tra genitori separati e molto problematici, ricoveri in comunità per minorenni, abusi e violenze da parte del capo di una setta nella quale si era fatta invischiare, fino alla maggiore età, di nuovo comunità protetta con  psichiatri simpatici, ma troppo legati ai limiti organizzativi e burocratici dei servizi, che sollecitano affinché la paziente accetti la pensione di invalidità, cosa che però  Glenda rifiuta; una psicologa equilibrata ma poco empatica, educatori rigidi  e spesso incomprensivi. Infine ci racconta la forza di laurearsi in psicologia, il rifiuto di continuare a stare in comunità, il lavoro, l’incontro con un ragazzo per bene e una vita che ridiventa vita, magari non perfetta, ma quasi.

Carlo Saffioti, particolarmente in forma, ha invocato per sé quello che i relatori rivendicano alla malattia mentale come tratto specifico: la  parresìa, cioè  il parlare dicendo sempre la verità, e si è dichiarato in totale disaccordo con l’analisi negativa di Valent rispetto alla psichiatria come scienza applicata in modo autoritario e manipolatrice dell’uomo; ha sottolineato la necessità di una riflessione attenta sempre nella somministrazione dei farmaci che devono essere ben conosciuti nel loro funzionamento, del rispetto del la persona , del sintomo quando utile difesa ancorché patologica per il paziente, delle  esperienze umane e culturali di varia natura: sono questi gli  elementi essenziali per far sì che la psichiatria non “soggioghi” la malattia mentale, ma aiuti le persone a vivere meglio, con dignità secondo le loro risorse, in definitiva a  “sopravvivere  alla  follia del mondo contemporaneo.