La musica, ascoltata, suonata, improvvisata e ballata come cura per numerose patologie. Ora anche i medici confermano questa teoria che ha fatto sempre discutere. Resta da chiarire come, con che meccanismo, questo accade. Ma la via è aperta.

Al di là dell’indiscussa efficacia ricreativa, delle potenzialità curative della musica ne parlavano del resto già Platone e Aristotele. Ma di recente, dall’esigenza di trovare cure diverse da quelle farmacologiche e sanitari alle malattie neurologiche e psichiatriche, è nata una nuova ondata di interesse per la musica da parte della medicina ufficiale. É bene chiarire che esistono sia la music medicine che la music therapy e non sono la stessa cosa. Nel primo caso si tratta dell’ascolto della musica per scopi medici, dove l’ascolto è guidato, non è necessaria la presenza del terapeuta e viene influenzato da elementi culturali e di gusto soggettivo. Nella musicoterapia invece è fondamentale il rapporto tra terapeuta e paziente, che coinvolge attivamente entrambi.

Alfredo Raglio, musicoterapeuta, ricercatore della Maugeri e coordinatore scientifico del Master di I livello in musicoterapia dell’università di Pavia, spiega: “Sono numerose le patologie che traggono un beneficio dalla musicoterapia. Si agisce, di volta in volta, laddove lo richiede la patologia: concentrandosi sugli aspetti relazionali, sulle funzioni esecutive, sulla memoria e l’attenzione, sul coordinamento motorio, sullo stress, sulla capacità di prevedere e anticipare le azioni degli altri o sulla capacità di usare gli strumenti, sulla connettività tra aree lesionate”. Valutare gli effetti di un intervento di musicoterapia richiede esami clinici di neuroimaging e neurofeedback e, nei casi di ansia e stress, con dei biomarcatori. In ogni caso la ricerca in questo campo deve essere multidisciplinare perché si cerca di spiegare un meccanismo che funziona ma di cui non si sanno i meccanismi. Come la musica può avere determinati effetti sul cervello e sull’intero organismo potrebbe passare da principi neuro scientifici, che oltretutto potrebbero aiutare anche l’attività clinica quotidiana. Alcuni studi randomizzati hanno indagato gli effetti di questo tipo di cure su pazienti affetti da depressione e autismo, ma anche da alterazione delle reazioni emotive e disturbi della coscienza. Per esempio una di queste ricerche comparsa su Lancet ha confermato l’efficacia della musica nel ridurre l’ansia e migliorare il recupero generale. La Cochrane Collaboration inoltre ha riscontrato che un intervento di musicoterapia può ridurre i sintomi depressivi e migliorare il comportamento. Da questo punto di vista si attendono ora più studi. Rispetto all’autismo, infiine, il professor Christian Gold, della Grieg Academy Music Therapy Research Centre dell’Università di Bergen in Norvegia, ha indicato che la terapia realizzata attraverso la musica avrebbe effetti positivi sulle capacità emotive, scoiali, interattive e comunicative non verbali e influenzerebbe in modo positivo anche la relazione genitore-bambino.