Il 10 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della Salute Mentale, celebrata per la prima volta nel 1972, per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica  sulle malattie mentali e in specie sulla schizofrenia. I disturbi psichici sono in continuo aumento, rappresentano quasi il 30% di tutte le disabilità, ai primi posti quali causa di ore di lavoro perse (indice di qualità di vita gravemente compromessa) e di morte. Mentre per le altre patologie mediche e chirurgiche vengono frequentemente sottolineati i successi, le nuove terapie, la speranza che deriva dall’impegno di tanti ricercatori e clinici,  delle malattie mentali ancora oggi si parla solo quando un, spesso presunto, malato di mente compie qualche crimine efferato: allora sì che le prime pagine dei giornali si occupano della “pazzia”, sempre però  connotata da violenza e da paura. tutto ciò non contribuisce certo a vincere quello che è ancora oggi il primo e più grave ostacolo che si incontra nella cura dl malato di mente: cioè la vergogna del paziente e dei familiari nel rivolgersi allo psichiatra e lo stigma di pericolosità , di incomprensibilità, di inguaribilità che connota il malato di mente. La malattia mentale  si differenzia dalle altre patologie per la sua complessità, dato che alla base ci sono cause biologiche, psicologiche, sociali per cui è necessario intervenire sul corpo, sulla psiche, sull’ambiente, in misura diversa a seconda  del  tipo di patologia e delle risorse del paziente. Se a questa complessità si aggiunge anche il pregiudizio e  la diffidenza del contesto sociale, si può ben comprendere la difficoltà che incontrano gli operatori, ma anche quella del paziente nel rivolgersi alla psichiatria e nell’accettare di farsi curare.

Mi ha molto colpito, a proposito di una tragedia che si è verificata nella nostra provincia, che, pur essendo stata valutata  la gravità del caso dai servizi sociali del comune di residenza della persona protagonista del fatto, fossero stati interessati  assistenti sociali, psicologi, amministratori, magistrati, ma non lo psichiatra. Se la persona in questione avesse rifiutato di rivolgersi allo psichiatra, avrebbe potuto essere attivato l’ASO ( accertamento sanitario obbligatorio), che richiede una proceduta semplice e veloce.  Il ricorso allo psichiatra, come pure l’attivazione di procedure straordinarie e eccezionali ma utili e necessarie per chi soffre, è ostacolata dal pregiudizio: chi va in psichiatria è matto, quindi pericoloso e/o motivo di vergogna. Le vere vittime di questa stigmatizzazione sono i malati di mente e i loro familiari, mentre viene reso più difficile il lavoro di chi è impegnato nella cura e nella riabilitazione. La psichiatria (e la Neuropsichiatria infantile) sono troppo spesso le cenerentole nell’ambito della sanità e, nonostante l’impegno di molti amministratoti, le risorse destinate sono ancora inferiori ai bisogni. E’ più facile per un direttore di un ospedale comprare una RMN  in più piuttosto che investire, ad esempio in una supervisione per gli operatori o in appartamentini protetti. Se è vero che il modello lombardo funziona, pur tra difficoltà e mancanze, è altrettanto vero che è necessario investire di più, nella cura, nella riabilitazione, nella prevenzione, nei progetti innovativi, nella formazione continua degli operatori, nel supporto a quelle (poche) associazioni di volontariato, per lo più promosse dai familiari, che tanto contribuiscono alla lotta allo stigma. Chissà che in tempi brevi non si arrivi al punto che la malattia mentale, pur nel riconoscimento delle sue specificità, venga considerata alla stregua di una qualunque altra malattia, che un Direttore Generale decida di comprare un pulmino per centro diurno invece di un’ altra TAC e che un giornale metta in prima pagina la notizia non di un trapianto di cuore ma di un intervento riuscito di riabilitazione psichiatrica.